Ma l’Italia non era europeista?

venerdì 25 gennaio 2019


Quando si parla di anti-francesismo elettorale osservando, come scrive il direttore, l’operato del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, si tolgono le foglie di fico ad atteggiamenti e posizioni (politiche?) del nostro tempo: italiano, ma non solo.

Sovranismi e nazionalismi sono al gran galoppo in un’Europa che tende sempre più a elasticizzare la sua natura per cui venne fondata, compiendo un cammino alla rovescia sulla scia di uno scarso equilibrio europeo e internazionale che, lungi dal produrre necessarie unioni, ne allontana, innanzitutto, lo spirito fondante.

In questo quadro anche gli atteggiamenti salviniani, seguiti a ruota da quelli dimaiani con quelli contiani a mediare, portano l’acqua al mulino di quel sovranismo che, almeno in Italia e in riferimento al leghista Salvini, significa non solo o non tanto una inversione di tendenza di quello che fu il nordico fiume bossiano, ma una confluenza nella corrente opposta sì di significare, come vediamo, non soltanto un capovolgimento politico ma ciò che i filosofi della Polis chiamano l’arrovesciamento della praxis, intendendo per praxis l’operato governativo.

La Lega, peraltro, non era e non è mai stata europeista nel senso letterale-politico del termine, ma non era mai stata sovranista ché, anzi, respingeva ab origine senso e significato di nazionalismo convinta com’era di un localismo sui generis, un regionalismo nordico da contrapporre al cosiddetto sudismo con una Roma coinvolta e partecipe nelle politiche anti-nord.

Ma i problemi non cambiano e, soprattutto, necessitano di risposte in un’area come la nostra nella quale si colloca il Mediterraneo, con la Libia in faccia e il Continente Nero sullo sfondo.

La Libia dunque sembra richiamare l’antica massima, per chi oggi governa il Paese, dell’hic Rhodus hic salta, nelle forme e nella misura con cui proprio le impostazioni nazionaliste non possono né potranno contribuire a soluzioni degne di questo nome proprio perché i problemi, il problema, richiede un approccio comune, una necessaria solidarietà, una risposta per dir così unitaria, ovvero europea, e non solo. Ne nascono diversificazioni ma, nel caso in questione, alleanze di cui, quella franco-tedesca sancita nella storica città renana di Aquisgrana, è quanto mai esemplare e simbolica attribuendo alla firma del trattato di collaborazione bilaterale fra Emmanuel Macron e Angela Merkel un significato per dir così storico non tanto o non soltanto perché per seicento anni tutti i “Re dei germani” vennero incoronati in quella cattedrale ospitante tuttora i resti di Carlo Magno, ma per le frasi del presidente Macron di qualche tempo fa sulla utilità di creare un esercito europeo per difendere il Continente, anche e nel caso di quegli stessi Usa che dopo la sbarco in Normandia, conquistarono e occuparono la prima città sul territorio tedesco: Acquisgrana, appunto. E l’Italia che dice? E il suo governo, che fa? Non era, non è europeista? Come si diceva una volta: qui c’è spazio per tutti. Anche per Lino Banfi.


di Paolo Pillitteri