Salvini e la Merkel: l’ombrello e la pioggia

giovedì 24 gennaio 2019


La Germania annuncia l’intenzione, dopo il rientro in patria della fregata Augsburg, di ritirarsi dalla partecipazione alla missione europea denominata “Eunavfor Med-Operazione Sophia”. Almeno temporaneamente. E la politica e i media nostrani si stupiscono. Perché mai?

Era prevedibile che, dopo la stretta impressa dal Governo giallo-blu alla politica di accoglienza degli immigrati, vi sarebbe stata una reazione da parte degli altri Stati dell’Unione europea coinvolti nel progetto. La verità è più semplice di quanto si pensi, alla Germania il merito di aver squarciato il velo d’ipocrisia che ha coperto la missione fin dal suo avvio. L’iniziativa di intervenire in modo più incisivo nel contrasto al traffico di esseri umani dalla Libia viene avviata il 22 giugno 2015 su impulso del Consiglio Affari Esteri dell’Ue. Scopo iniziale della missione è di acquisire piena conoscenza del modus operandi dei trafficanti e contrabbandieri di esseri umani per contrastarne efficacemente le attività in mare. In coincidenza con i periodici rinnovi dell’operazione sono stati aggiunti compiti integrativi quali: la formazione tecnico-operativa del personale della Guardia costiera libica; il contributo alle operazioni di embargo alle armi in esecuzione della Risoluzione dalle Nazioni Unite n. 2292 del 2016, rinnovata con la Risoluzione n. 2357 del 2017; la raccolta d’informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia, in ottemperanza delle Risoluzioni n. 2146/2014 e n. 2362/2017 del Consiglio di sicurezza dell’Onu; l’implementazione dello scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani con le agenzie europee di contrasto Frontex ed Europol. L’operazione ha coinvolto 28 nazioni europee. Il comando, fin dalla prima fase, è stato affidato all’Italia che ha assegnato all’Ammiraglio di Divisione Enrico Credendino il ruolo di Operation Commander. La prima task force, che ha raggiunto la piena capacità operativa il 27 luglio del 2015, è stata composta dalla portaerei italiana Cavour, dalla nave idrografica inglese Enterprise e da due unità tedesche: la nave ausiliaria Werra e la fregata Schleswig-Holstein. Ad oggi altri Paesi hanno inviato proprie unità militari come l’Irlanda, la Slovenia e la Polonia, che ha fornito un aereo e un reparto delle sue unità speciali. Il progetto prevede l’attivazione, in successione, di quattro fasi operative.

Attualmente, però, l’operazione in corso è ferma alla seconda fase non essendo stata raggiunta in sede Onu l’intesa per portare “Sophia” ad occuparsi della neutralizzazione delle “imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra e quindi contribuire agli sforzi internazionali per scoraggiare gli stessi contrabbandieri nell’impegnarsi in ulteriori attività criminali”. Che poi, come abbiamo spiegato in un nostro precedente articolo, dovrebbe essere il coronamento della missione stessa. Snodo decisivo che aiuta a comprendere l’odierno atteggiamento tedesco è che “Eunavfor Med-Operazione Sophia” è nata per affiancare e non sostituire l’altra operazione europea in essere per la salvaguardia della vita umana in mare denominata “Triton” e gestita dall’agenzia europea Frontex. L’autorità centrale comunitaria, disponendo il collegamento tra le due differenti iniziative, ha stabilito che anche l’Operazione Sophia, pur non avendola tra i compiti di missione, dovesse assicurare la partecipazione alle attività di ricerca e di salvataggio in mare dei naufraghi individuati, alle medesime condizioni d’ingaggio fissate nell’ambito dell’operazione Triton. E così è stato. Le unità navali di “Operazione Sophia”, a tutto il 2018, hanno tratto in salvo 46mila persone, neutralizzato 551 mezzi navali, fermato 151 sospetti di traffico di esseri umani. Ma dov’è l’inghippo che oggi fa scappare i tedeschi? Il Governo italiano, allora guidato da Matteo Renzi con l’ausilio dell’indimenticabile Angelino Alfano al ministero dell’Interno, avrebbe ottenuto la partecipazione con propri mezzi e personale degli altri Stati membri dell’Ue alle operazioni di ricerca e soccorso dei naufraghi nel Mediterraneo centrale a patto che si fossero sospese le norme sulla competenza territoriale a gestire le richieste d’asilo previste dal vituperato Regolamento di Dublino. Il patto era di non considerare la presa a bordo dei naufraghi quale primo ingresso nel territorio dello Stato di cui l’unità di soccorso batteva bandiera, ma di riservare la giurisdizione sulle richieste d’asilo al Paese di sbarco dei naufraghi, una volta recuperati dalle unità di soccorso. Di fatto sarebbe toccato all’Italia prendere in carico i richiedenti asilo. Ed è stato così che nel giro di tre anni il nostro Paese ha fatto il pieno d’immigrati irregolari. Poi c’è stato il 4 marzo con la vittoria delle forze populiste e sovraniste e la nomina di Matteo Salvini a ministro dell’Interno. La sua ferma decisione di chiudere i porti impedendo alle navi del soccorso in mare di scaricare sul suolo italiano gli immigrati recuperati dalle acque del Mediterraneo ha fatto squillare i campanelli d’allarme nelle cancellerie dei Paesi coinvolti nell’operazione Sophia. A Berlino si saranno detti: “se gli italiani non li fanno sbarcare, i naufraghi recuperati dalle nostre unità diventano un problema tedesco visto che salgono a bordo di una nave che, per il diritto internazionale, è territorio della nazione di cui batte bandiera. Quindi, per evitare rogne, meglio defilarsi in attesa che la situazione si chiarisca”.

Questa è la nuda e cruda verità. Gli Stati coinvolti nelle operazioni di soccorso hanno fatto i fenomeni finché potevano contare sul fatto che sarebbero stati gli italiani a prendersi gli immigrati. Adesso che tale certezza è venuta meno, cessano i beau geste e si torna a fare quel che si è sempre fatto in Europa: badare agli affari propri. Ora, l’interrogativo filosofico al quale dovremmo applicarci è il seguente: è colpa dell’ombrello se vien giù la pioggia?


di Cristofaro Sola