Liturgie populiste verso le europee

Le confusioni (volute) nell’alternarsi delle parole più sfruttate fra popolo, populismo e democrazia ci stanno accompagnando da parecchio tempo. Ed è, fra poco, il tempo delle elezioni europee.

Sicché, nello srotolarsi di appuntamenti e di avvenimenti, pochi si sono presi cura, ad esempio, dei recenti e frequenti interventi di Papa Francesco ispirati, staremmo per dire inevitabilmente, a una riedizione di quello che anni fa si chiamava terzomondismo. In riferimento a casa nostra, non poco giustamente il nostro direttore ha, a tal proposito, messo in evidenza la storica, sostanziale, politica differenza fra Don Sturzo e Papa Francesco sullo sfondo di una costante avanzata e crescita, anche e soprattutto nel nostro Paese, di ciò che vorremmo definire “liturgia populista” interpretata e diffusa da non pochi specialisti al governo fra cui eccelle Matteo Salvini, grazie specialmente alla televisione che completa, perfeziona e diffonde il lavoro dei social ai quali, del resto, il patron leghista dedica la massima attenzione quotidiana.

Anche il collega di governo Luigi Di Maio gode dello stesso trattamento mediatico, e se ne vorrebbe richiamare l’origine grillina tout court, ovverosia nello stesso fondamento ideologico del movimento di un ex comico che ha mietuto successi elettorali grazie alla crisi altrui, da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi innanzitutto, e che oggi governa la settima potenza mondiale. Verso dove?

Leggendo con qualche attenzione i dati a disposizione e le prospettive, non vi è dubbio che ci si sta incamminando verso una decrescita infelice anche se il controcanto di un Di Maio che, dopo la fascinazione dei gilet gialli, fa ora suonare le trombe in vista di un nuovo welfare statale che, come è del tutto probabile, avrà alle sua fondamenta l’eterna prassi di nuove, incombenti tasse. La doppia liturgia populista è dunque al lavoro verso entità e modalità delle mani in tasca dei contribuenti, il che non può non allargare la strada in direzione di quella che chiamano, appunto, decrescita infelice, favorita fino ad oggi anche dall’assenza di una opposizione degna di questo nome che ha assistito ammutolita la settimana scorsa a quella sorta di scampagnata automobilista europea del duo grillino cha ha lasciato momentaneamente solo al governo del Paese un democristiano di nome Giuseppe Conte.

Qualche novità, tuttavia, si sta scorgendo per contestare e contrastare quel populismo e le sue più o meno governanti liturgie, sia nel centrodestra che nel centrosinistra con modalità ora simili ora diverse in entrambi i campi. Il rientro di Silvio Berlusconi è di per sé una sorta di novità sia per un movimento come Forza Italia berlusconiano ad origine, sia per lo stesso centrodestra dominato da Salvini verso cui, comunque, i toni del leader di Arcore sono sempre pacati e prudenti ma, ad ogni buon conto, presenti in nome dell’antica e sempre attuale massima latina del maiora premunt, a cominciare dalle elezioni.

Anche dalla parte opposta si sta muovendo un personaggio come Carlo Calenda che pare voglia dare vita ad un nuovo partito con una scelta che avrà di certo reazioni uguali e contrarie in un Partito Democratico a sua volta in preda a prossimi sommovimenti interni congressuali con quel Matteo Renzi che ha tutte le intenzioni di tornare a cavallo della tigre. Le liturgie populiste si sono mosse fino ad ora in un quadro la cui staticità ne ha favorito una crescita di non poco conto, soprattutto per una Lega a spese di Forza Italia con un Salvini la cui corsa, rispetto a quella in frenata dei grillini, non pare in diminuzione. Ma, come ricordano gli storici, things change. Le cose cambiano.

 

Aggiornato il 21 gennaio 2019 alle ore 11:37