Il Governo del fare: il gioco delle parti

Non è una novità, intendiamoci. La cosa (non la chose) va avanti da mesi e mesi. E andrà ancora sempre più avanti così, non v’è alcun dubbio. Ed è un gioco non troppo pericoloso, almeno fino alla scoperta dei suoi attori. Un gioco fra di loro eppur visibile da ogni lato e, soprattutto, da ognuno di noi italiani e, inevitabilmente, dagli europei, almeno quelli che sono costretti e interessati a guardare ciò che avviene nella settima potenza mondiale. È il gioco più gioco di tutti, quello delle parti. Un gioco doppio, a volte triplo. Non occorre, del resto, essere specialisti o specializzati nell’osservare i veri e propri ghirigori - come li chiamava la nonna - di certi nostri governanti; basta la parola, la loro e quasi sempre in video/spot, per un giudizio, sia pure pacato e sorridente.

Quando al nostro direttore, che qualifica il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte né più né meno che come uomo del Partito del Papa, quelli che si autodefiniscono i bene informati rispondono che non è una novità. Ebbene, deriva proprio da questa non novità un fatto non propriamente tranquillizzante. Perché non solo si tratta di un fatto e non di un’apparenza, ma perché sistemico e sistematico nella misura e nella sfera in cui si svolge e si moltiplica giorno per giorno. E pure in Europa.

Prendiamo, a caso, quello dei gilet gialli d’Oltralpe, un movimento comunque contro chi governa, anti-Macron, in giro per le piazze e i media. Come poteva, facciamo un nome anche questo a caso, il vicepresidente Luigi Di Maio a non inserirsi, a non mostrarsi, a non finire sul video come un loro simpatizzante e probabile imitatore-continuatore in Italia (e in Europa)? E come non potevano i francesi non rispondergli di pensare ai propri affari (politici) italiani? Non è soltanto, come si dice, un problema di stile nei rapporti fra alleati nonché cugini, ma di opportunità politica e di necessaria amicizia fra entità che si chiamano Stati proprio perché ne esprimono, riassumono e rappresentano quello che proprio i francesi chiamano un ensemble, un insieme, un sistema di popolo e di nazione.

Nello spacciarsi amici di tutti girovagando per l’Europa, i nostri due “vice” fanno concorrenza al Presidente Conte nello spaccio di calde strette di mano e di sorrisi sempre più ampi e non tanto, o non soltanto, perché dalla leggendaria Farnesina si è sempre raccomandato che nei rapporti internazionali occorre molta diplomazia (appunto), ma perché loro, i nostri governanti, sono fatti così. Ma con un grande rischio: di non essere molto credibili e, soprattutto, creduti.

Del resto, quando si dice e si scrive che Conte è un democristiano al timone giallo-blu, il giudizio va ben oltre la diplomazia del sorriso e coinvolge in pareri analoghi gran parte di chi oggi è al potere in Italia, tant’è che il buon Di Maio proprio in quanto “amico del giaguaro” si schiera adesso con i gilet gialli e, contemporaneamente, con l’ottimo Salvini, fa prove fasulle di nuovi schieramenti, e tutti insieme sotto lo slogan ognor sventolante del governo nuovo e, va da sé, del modo nuovo di governare. Il nuovismo, appunto.

Nuovissimi come nella vicenda Carige che è stata affrontata e risolta dai nostri ministri, come si dice: competenti, né più né meno, persino nelle virgole, nello stesso, identico modo seguito dai vecchi e vecchissimi ministri di prima attirandosi le facili e irridenti critiche di un Matteo Renzi, che pure, diciamocelo, di queste cose se ne intende e, specialmente se ne intendeva e dalla sua bocca è sembrata quasi uscita nelle ore passate la fatidica accusa: copioni!

Un altro fatto, ma forse il più importante, è l’assenza, il vuoto, il silenzio, la mancanza di un’opposizione la cui latitanza sistematica sta diventando una sorta di quarta o quinta gamba del tavolo di una maggioranza peraltro debole, anche numericamente, in Senato. Se si osserva il problema dell’immigrazione, anche nelle stesse sfumature interne di cui sono esperte le sorridenti mosse dimaiane rispetto agli urlati stop salviniani, l’impressione è che il Governo nel suo insieme “segua il corso delle chiacchiere al bar dello sport e ne riceva gli impulsi e gli argomenti”, il che può anche produrre simpatie e pure voti, ma non necessariamente in eterno se non si provvede a questa epocale vicenda con una politica del fare degna di questo nome. Ma manca un’opposizione degna di questo nome. E quando manca l’opposizione trionfa l’imposizione.

Aggiornato il 11 gennaio 2019 alle ore 11:12