Di Maio: il gilet giallo sotto il doppiopetto

In Francia la protesta dei gilet gialli prova a strutturarsi in partito. Si chiamerà “Les Emergents”, gli “Emergenti”. Il suo primo obiettivo sarà di varare una riforma fiscale radicale che rimetta a posto gli equilibri sociali saltati con l’avvento della globalizzazione economica. L’ispiratrice dell’iniziativa è Jacline Mouraud, ex portavoce dei Gilet gialli, esponente dell’ala moderata del movimento.

Intanto a Roma, il prossimo 12 gennaio, è stata indetta una manifestazione da un semisconosciuto “Movimento Popolare di Liberazione Programma 101”, alla quale parteciperanno Vèronique Ruille e Yvan Yonnet, protagonisti dell’ala dura dei Gilet gialli francesi. Segno evidente che la pur legittima protesta della classe media e dei ceti meno abbienti d’Oltralpe non si tradurrà, meccanicisticamente, in nuovo soggetto politico unitario in Francia, e ancor meno in Europa. Nonostante ciò, i grillini di casa nostra provano a mettere cappello sull’iniziativa degli “Emergenti” offrendosi, senza che nessuno glielo abbia richiesto, di assumere il ruolo di lord protettore dell’antagonismo moderato transalpino. Lo lascia intendere lo stesso Luigi Di Maio in una lettera indirizzata ai “fratelli in giallo” che dall’altra parte del confine si battono per i medesimi ideali che sono dei Cinque Stelle, a cominciare dalla domanda di democrazia diretta.

Di Maio palesa una generosità quanto meno sospetta, mettendosi, come si dice al Sud, “a disposizione”. Scrive il vice-premier: “Il MoVimento 5 Stelle è pronto a darvi il sostegno di cui avete bisogno”. Che significa: vi diamo l’uso della piattaforma digitale Rousseau della Casaleggio & Associati per mettere in piedi rapidamente un’organizzazione partitica a immagine e somiglianza grillina, militarmente presidiata dal vertice, che provveda all’elaborazione delle parole d’ordine con le quali affrontare le campagne elettorali e allo scouting pilotato per la composizione della classe dirigente che rappresenterà in patria e in Europa la formazione nuova di zecca. Nulla di sorprendente nella trovata del vice-premier Di Maio. Che i Cinque Stelle da tempo si stessero ponendo il problema di uscire dalla dimensione territoriale in cui sono relegati per poter avere una corrispondenza anche in altri Paesi della Unione europea allo scopo di formare un gruppo omogeneo in seno al prossimo Parlamento di Strasburgo, era cosa nota. Come altrettanto prevedibile sarebbe stato il tentativo di agganciare in un discorso costruttivo il movimento contestatario nato di recente in Francia, non fosse altro per equilibrare il peso specifico che la Lega di Matteo Salvini ha acquisito all’estero grazie alla partecipazione al fronte sovranista sovranazionale in guerra contro i corifei della mondializzazione economica e sociale.

Tuttavia, la possibilità che la mossa tentata da Di Maio vada a buon fine è tutt’altro che scontata. La natura magmatica del movimento di protesta francese non consente di stabilire con chiarezza quali siano le visioni di fondo dell’universo protestatario nel suo insieme. Tra i gilet gialli quanti sono di sinistra e quanti invece di destra? Di certo vi è una parte consistente di quei ceti medi tradizionali, un tempo nerbo delle aggregazioni moderate, che sono stati i più colpiti dalla globalizzazione prima e dalla crisi economica dopo. Tra di loro scorre il fiume carsico del revanscismo poujadista. Ma, come accadde nella seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo quando il qualunquismo politico di Pierre Poujade ebbe vita breve nella Francia della Quarta Repubblica, l’odierno moto di sollevazione potrebbe parimenti arenarsi a fronte del conseguimento di alcuni obiettivi minimi di lotta. La natura socio-antropologica dei gilet gialli potrebbe oggettivamente richiamare, nell’immaginario collettivo, la forza trascinatrice della gente comune propria dei Cinque Stelle italiani. Tuttavia, per molti altri aspetti, il destino dei contestatori potrebbe eguagliare la parabola dei fuochi fatui del “movimento dei forconi”. In Italia li ricordiamo bene, comparvero, al tempo del Governo Monti, come una meteora nel panorama politico nostrano. Ma con la medesima rapidità con la quale avevano dato alle fiamme il Paese, l’incendio da loro provocato si spense. Anche in quel caso si pensò che i forconi potessero rappresentare un momento di svolta insurrezionale in un Paese devastato dalle politiche di austerity imposte dall’Europa, invece si rivelarono un clamoroso flop.

In realtà, il punto di snodo della politica francese dei prossimi mesi ed anni si colloca altrove, in quella vasta area della destra che attualmente, come in Italia, è drammaticamente divisa tra un’ala radicale ed una moderata riformista. In particolare, nello scenario francese bisogna valutare quanto consenso l’onda di risulta della protesta abbia sottratto al blocco tradizionale gollista presente nel partito “Les Républicains”, “I repubblicani” ed in parte anche in “La République En Marche” di Emmanuel Macron e quanto di quel consenso perduto sia stato conquistato al progetto di Rassemblement national avviato da Marine Le Pen dopo l’abbandono definitivo del contenitore piuttosto equivoco del “Front National”. Che poi è il problema analogo a quello che, in Italia, stanno affrontando la Lega e Forza Italia.

Ora, Luigi Di Maio e i suoi fanno il loro mestiere a provarci con i gilet gialli ma è probabile che nelle urne delle prossime europee si ritrovino un pugno di mosche tra le mani. Allora, addio ai bei sogni di gloria grillini di diventare a Bruxelles l’ago della bilancia tra le grandi famiglie politiche europee della destra e della sinistra. La politica è sovente crudele: abbaglia, talvolta acceca.

Aggiornato il 09 gennaio 2019 alle ore 11:14