Fra slogan e realtà

Certo che a seguire, un nome a caso, Matteo Salvini, l’impressione di una campagna elettorale sempre in corso e mai finita diventa sempre più reale e dinamica nel suo incessante crescere. All’interno, vale a dire entro i confini patrii, l’interventismo salviniano, soprattutto per quanto riguarda il settore internazionale, la dice lunga sul modo di intendere e di fare politica (il poco o nulla che ne è rimasto) non tanto o non solo per il cambio del palcoscenico ma, soprattutto, per le stesse sottolineature vocali e per la medesima carica gestuale; caratteristiche che sono divenute la vera sigla del vicepresidente del Consiglio nelle sue frequentissime apparizioni televisive.

La stessa visita in Israele, per dire, se inquadrata in una sorta di visore retrospettivo, dà la misura dell’impatto che Salvini pensa di conquistare ed è probabile, molto probabile, che questa incidenza sia notevole, ma la sensazione di un incedere pressoché identico in altre visite, peraltro molto meno significative per la politica estera, o politica tout court, rischia di condurre l’interessato e tutti noi che lo osserviamo, dentro una sorta di cammino obbligato, di costrizione nel porgere, di intima necessità di un’insistenza in quella che una volta si chiamava politica-spettacolo. Si dirà che qualcosa proprio Salvini dovrebbe all’inventore della stessa, a quel Silvio Berlusconi che sembra come messo in un angolo con una sorta implicito “fatti da parte che adesso parlo io”, quando, invece, il già Presidente del Consiglio nonché nume televisivo al di sopra di ogni sospetto, sembra concedersi una specie di riposo del guerriero, una sorta di pausa di riflessione che, a ben vedere, serve o dovrebbe servire a una ripresa di un cammino di quella Forza Italia finita anch’essa in pausa, e non solo di riflessione, ma anche e soprattutto di cura delle proprie ambasce. Chi vivrà vedrà, come si dice in queste occasioni.

Il fatto è che un Salvini in crescita sa benissimo tutto questo e se ne giova procedendo a passi spediti e niente affatto felpati dentro un territorio la cui vastità, attuale ed in fieri, lo attrae sempre più sia per accentuare una corsa rispetto a quella di un Luigi Di Maio in decrescita, sia per allungare il proprio spazio vitale, quella lebensraum fuoriuscita da una ex sacra alleanza con Forza Italia, che tende a rimanere tale soltanto a parole.

Per carità, tale è ed è sempre stata la politica, compresa questa ridotta al lumicino, e verrebbe voglia di metaforizzarla nelle sue varie ipotesi di fine partita con una sorta di “tanto va la gatta al lardo, che ci lascia lo zampino”, laddove la gatta sarebbe salviniana e il lardo il terreno centrista-destrorso non difeso abbastanza, ma, anzi, rimasto sempre più sguarnito tant’è vero che l’azione salviniana è visibilmente e concretamente più intesa e tesa a occupare spazi, posti di sottogoverno, enti, istituti, istituzioni e chi più ne ha più ne metta. Cosa normale, intendiamoci, e traguardi che qualsiasi forza politica di governo intende legittimamente raggiungere, tanto più se non sembra avere ostacoli, a parte quelli offerti dalla concorrenza di governo dalla quale, peraltro, Salvini ha ben poco da temere. E dunque?

Il dunque è a suo modo complesso e complicato da una situazione nella quale il procedere a forza di slogan e di spot svela una demagogia di fondo che rischia di non fare i conti con la realtà se è vero come è vero che la nostra economia sta retrocedendo lentamente ma inesorabilmente e perdiamo reddito, consumi e posti di lavoro mentre a proposito di una manovra, lanciata, all’inizio, come una sorta di sfida a quelli di Bruxelles e come una sorta di non plus ultra, è lo stesso Presidente del Consiglio Giuseppe Conte a correre nella Capitale belga a correggere il rapporto Deficit/Pil passando dal 2,4 al 2,04 per cento al fine di evitare la procedura di infrazione.

Un caso fra i tanti, si vorrebbe aggiungere, sullo sfondo di un Paese che offre ulteriori spunti di riflessione - e di opposizione - se si pensa anche alla manifestazione milanese contro il Movimento 5 Stelle da parte dei pensionati cosiddetti d’oro che minacciano di indossare, persino loro, i gilet gialli che vanno tanto di moda alzando alto e forte il grido del no “al furto vero e proprio ai danni di intere categorie professionali, in pratica ad un invito ad espatriare per la follia, l’odio sociale elevato a metodo di governo”, come ha specificato il presidente del Cida (Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità) in rappresentanza di 2 milioni di pensionati “d’oro”. Qualcuno ha parlato di sparata demagogica.

Ma anche Salvini non scherza.

Aggiornato il 17 dicembre 2018 alle ore 10:35