Pugni chiusi, opposizione mancante, piazza presente

La politica, anche quando non c’è come da noi, dà sempre dei segnali. O segni, nel significato per certi versi metafisico e psicanalitico o, se vogliamo, doppio come, del resto, si addice ad una situazione che, a detta di qualcuno, dura da molto tempo ma potrebbe anche svegliarsi e finire con l’apertura di fasi nuove. Segno o segnale che sia, quel pugno alzato del ministro Danilo Toninelli rientrerebbe autorevolmente nella galleria psicopolitica laddove soccorrerebbe l’interpretazione del gesto come espressione di un pensiero loquacemente rivoluzionario per definirne a fondo contenuti, contorni e significati. Se non fosse che sotto o intorno a quella mossa è praticamente impossibile cogliere significati rivoluzionari.

Al contrario, come ha ricordato il nostro direttore, da quel segno nulla traluce che si ispiri ad afflati rivoluzionari del volare alto ma, semmai, al suo opposto, all’irrefrenabile testimonianza del tifoso di calcio dopo un goal della propria squadra. C’è, come suol dirsi in questi casi, un vuoto di pensiero politico sostituito dalla gestualità il cui impeto, tuttavia, ne rivela la velleità come base dell’inconsistenza. E tuttavia lo stesso gesto è rivelatore di un’altra, se vogliamo, inconsistenza o, per meglio dire, assenza. L’assenza dell’opposizione sia in occasione del bilancio dello stato sia osservando il comportamento dei due “vice” al Governo nei confronti, non dei latitanti oppositori ma della stessa Unione europea alla quale non le ha mandate a dire la ruvida narrazione salviniana in caso di sanzione: “Se all’Europa non va bene, tireremo dritti lo stesso” essendo semmai la sanzione “un ottimo argomento da campagna elettorale”, forse, o anche senza forse, sullo sfondo delle post-europee con un successo continentale di antieuropei, sovranisti, nazionalisti, scettici. Salviniani, per dire.

Di nuovo, il richiamo all’assenza di cui sopra, è d’obbligo non tanto o non solo per l’effetto deludente che essa comporta, a cominciare nella dinamica parlamentare dello scontro democratico fra maggioranza e opposizione, ma persino nella sottovalutazione di un gesto, quello sì popolare, ampio, forte, della manifestazione torinese anti-Tav della quale, il meno che si possa dire, è che le trentamila persone in piazza senza bandiere non possono che essere il segno di una diffusa indignazione di popolo. Intendiamoci, alla piazza ciò che è della piazza, alla politica ciò che è, appunto, della politica. Ma, nel ripeterci e ripetere, solo apparentemente invano, la domanda sul dove questa si trovi e venga nascosta, soccorrono o soccorrerebbero le ragioni della sua necessità soltanto che si ponesse attenzione, senza dilungarsi sull’argomento di per sé vastissimo, ché l’antipolitica grillina si poggia programmaticamente sul no ai vaccini, sulla dichiarazione di guerra alle infrastrutture, sul rifiuto a suo modo disgustato dell’Europa, sulla denuncia e sulla condanna - e non soltanto verbale e men che meno dialettica - della finanza tout court, eccetera.

È questo il quadro nel quale (non) si muovono i cosiddetti partiti, nel nostro caso non al governo e, per essere più precisi, che sono o sarebbero del centro o centrodestra cui, peraltro, non va affatto disconosciuta la volontà di opporsi allo stato delle cose, sia pure con inframmettenze varie, dimenticanze, discontinuità, disguidi e pigrizie. Ed è di certo di buon augurio la decisione di Silvio Berlusconi di dare vita ad una grande iniziativa che rappresenta di per sé un importante passo avanti nel ridare linfa, vitalità, forza e coraggio a un movimento che ne aveva, ne ha e ne avrà sempre più bisogno, non tanto o non soltanto in previsione della competizione europea che è più vicina di quanto si pensi ma anche, e direi specialmente, con gli occhi politici più attenti nei confronti di questa Lega salviniana, che a parole resta l’alleato princeps in un centrodestra per dir così complesso e a volte confuso, ma nei fatti è una Lega che cresce sovente a spese dell’alleato e che può sembrare, a volte, una Lega a Cinque Stelle, non più o non molto interessata al ceto produttivo, con un cammino non sempre indirizzato su una svolta, come si dice, moderata costretta com’è, nel governo a due, ad un equilibrio complicato fra l’istanza tradizionalmente moderata del mondo ex bossiano e le pressioni spesso truci dei pentastellati a pugno chiuso.

 

Aggiornato il 16 novembre 2018 alle ore 19:56