Se “Destra” è bello

L’articolo “Perché voi conservatori americani continuate a perdere contro i progressisti?” a firma di Daniel Pipes, pubblicato ieri sul nostro giornale, è una lectio magistralis che spiega in modo impeccabile il perché la destra conservatrice, anche prevalendo nel consenso politico, non riesca a sconfiggere culturalmente il progressismo della sinistra. Pipes si rivolge all’opinione pubblica statunitense ma la sua analisi calza alla perfezione alla realtà italiana: “…essendo la politica a valle della cultura e poiché le idee progressiste dominano le scuole, la stampa, le arti e le chiese, i conservatori… subiscono uno svantaggio permanente”.

Pipes, con un linguaggio semplice, sottilmente didascalico, centra il problema. Lo zeitgeist, lo spirito del tempo che informa una civiltà, non è il medesimo a tutte le latitudini del tessuto sociale. Esso muta a seconda che si circoli nei mercati rionali tra la gente comune o, invece, nelle università, nelle redazioni dei giornali, nelle stanze parrocchiali e, in generale, nei luoghi in cui si fabbrica il sapere. Ai piani alti della società la religione ufficiale resta quella del progressismo, esattamente nelle forme descritte da Pipes. Per i dotti del pensare-corretto, il conservatore rappresenta una sorta di troglodita, di Tarzan scappato dalla giungla, alla quale dovrebbe fare immediato ritorno per il suo stesso bene. Al desco degli esseri eticamente superiori le gerarchie valoriali tradizionali e i fattori identitari non trovano posto. Essi rappresentano la zavorra di cui il progressista deve disfarsi se vuole proiettarsi nel divenire della Storia. È stupido fingere che non sia così, che le idee, da qualsiasi parte provengano, abbiano la medesima dignità.

Dio, patria, famiglia, difesa della proprietà privata, differenza di genere, sono parole esecrabili per i progressisti; sono indicatori sintomatici di “fascismo dentro” e meritano di stare nella sentina dell’umanità. Guai a propugnarle. Siamo tragicamente precipitati in un sistema che è duro a morire perché è stato costruito nei decenni con pazienza certosina da chi, come la dirigenza del più grande partito comunista dell’Occidente, sapeva scrutare l’orizzonte lontano mentre gli avversari si contendevano gli agi materiali e le miserie spirituali del presente. Pensiamo agli anni Settanta del secolo scorso quando, negli enti locali, si moltiplicavano i casi di amministrazioni di centrosinistra allargate all’apporto dei comunisti, sulla scia della novità del “Compromesso storico”.

Mentre i praticoni del sistema si scannavano per spartirsi gli assessorati più succosi, quali quelli all’edilizia, alla viabilità, al personale, ai mercati annonari e al commercio, gli altri, i ”rossi”, si “accontentavano” di prendersi la scuola, la cultura e il tempo libero. I furbi pensavano che i compagni fossero fessi, ma non capivano quanta lungimiranza vi fosse nel guadagnarsi il governo delle casematte del potere nominando direttori di biblioteche comunali, promuovendo mostre e convegni, finanziando artisti e intellettuali gramscianamente organici al partito. E poi l’assalto al cielo delle università, delle direzioni dei giornali e della magistratura ha completato l’opera. Con il bel risultato odierno che per spiegare la prevedibile ribellione della maggioranza degli italiani agli stereotipi del multiculturalismo e del solidarismo pacifista di matrice cattocomunista si scomoda George Mosse e la sua idea di “nazionalizzazione delle masse”. Nulla sfugge alla gigantesca congiura delle menzogne che è la narrazione della Storia riscritta con l’inchiostro progressista.

Anche il significato profondo che ebbe il primo conflitto mondiale e ciò che esso significò in termini di mutazione di segno della civiltà occidentale non viene risparmiato. La vittoria del 1918? Fu l’incipit di un processo d’involuzione autoritaria. Il nazismo? Fu la diretta conseguenza della guerra e non della pace che ne seguì con la drammatica imposizione alla Germania delle clausole vessatorie del Trattato di Versailles. Trieste liberata? I triestini neanche li volevano gli italiani, visto che stavano tanto bene con gli austro-ungarici. Parola di Wu Ming 1, al secolo Roberto Bui, scrittore, che consegna alla pubblicazione di questa settimana di “Left”, l’elegante settimanale della sinistra pensante, un concentrato di perle di saggezza. E le prime leggi razziali? Furono emanate nella Venezia Giulia per reprimere, con i rastrellamenti delle popolazioni slave, i fervori “austriacanti” ancora presenti nelle terre irredente. Lo dice Wu Ming 1.

Siamo allo storytelling del mondo alla rovescia per il quale la Prima guerra mondiale fu “l’inutile strage”, finanziata dal capitalismo bellico che sulla pelle dei popoli avrebbe costruito una lunga, ininterrotta teoria di guadagni. Ora, passi la manipolazione sistematica della verità ma arrivare, come fa “Left” con l’articolo “L’inganno della storia svelato dai disertori” a firma di Leonardo Filippi, a dare la parola non agli eroi che combatterono al prezzo delle loro vite la Grande Guerra ma ai disertori che se la diedero a gambe davanti al nemico per poi concludere che erano costoro, e non le vittime del dovere, a stare dal lato giusto della Storia, è francamente troppo.

La destra non ha alcuna speranza se si mostra timida nel sostenere le proprie ragioni ideali e storiche contro quelle della sinistra e se, come spiega bene Pipes, “i genitori conservatori danno alla luce più figli, ma per istruirli li affidano ai progressisti”. Resta il fatto che il tanto bistrattato popolo, al quale la sinistra attribuisce soltanto l’attitudine a produrre pulsioni di pancia, esprima un’istanza di cambiamento anche riguardo all’impianto valoriale comune. Cosa aspetta la destra a fare la cosa giusta? A cominciare, ad esempio, col dire che l’egualitarismo, bandiera del progressismo, è la morte della civiltà e che la tanto propagandata pace in Europa non è stata affatto garantita da questa schifezza di Unione europea ma dai carri armati e dalle atomiche degli Stati Uniti? Sarebbe un buon inizio per affermare al mondo che la destra è altra cosa dal progressismo e dal multiculturalismo. Ed è di gran lunga preferibile.

Aggiornato il 06 novembre 2018 alle ore 11:18