Ricordiamoci dell’offesa di Juncker

È passata quasi sotto silenzio l’accusa di Jean-Claude Juncker all’Italia di non rispettare i patti. Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno replicato rinnovando la polemica personale che va avanti da tempo con il Presidente della Commissione Ue. Ma senza alcuna impennata di risentimento. Anche perché nel frattempo il braccio di ferro tra governo ed autorità europee ed internazionali è andato avanti con nuove forzature e nuove marce indietro e l’accusa di Juncker è stata di fatto derubricata a semplice episodio di una lunga ed interminabile sequela di insulti e male parole.

Invece mai come in questa occasione una replica molto più risentita sarebbe stata opportuna. Perché se è vero che la maggioranza degli italiani sembra ormai convinta che l’accusa di non mantenere i patti non è poi una faccenda tanto grave, come se l’inaffidabilità dovesse essere considerata un peccato lieve da sanare con un pater, ave e gloria, fuori del nostro Paese sembra fatto apposta per far scattare uno degli stereotipi più gravi e pesanti che perseguitano la penisola ed i suoi abitanti dal Seicento ad oggi. Quella di non rispettare gli impegni internazionali, di essere il Paese dei giri di walzer, di tradire sempre e comunque i propri alleati in nome non di un qualche interesse nazionale superiore ma di una sorta di difetto genetico ed antropologico che rende l’Italia e gli italiani dei perenni voltagabbana su cui non fare mai alcun affidamento.

Salvini e Di Maio sono giovani, hanno alle spalle studi limitati e lacunosi o, forse, per loro fortuna, non hanno la consapevolezza di questo fardello storico che i nemici e gli avversari del nostro Paese gettano in campo quando vogliono colpirlo nella maniera più efficace e sanguinosa. Ma in campo internazionale la memoria è molto più lunga e piena di pregiudizi radicati rispetto a quella vuota dei due vice presidenti del Consiglio. Dovrebbero non derubricare a semplice esternazione da eccesso alcolico una battuta che punta a risvegliare antiche pregiudiziali ed il massimo del dileggio. E regolarsi di conseguenza, ponendo a loro volta una pregiudiziale netta e rigidamente personale nei confronti di Juncker. Che si crede Bismark ma è solo un poveretto incolto e pieno di pregiudizi. Con il Bismark dei poveri non si tratta! E Antonio Tajani, che è presidente del Parlamento europeo, non dovrebbe tacere su questo punto!

Aggiornato il 16 ottobre 2018 alle ore 10:37