A proposito della riflessione di Paolo Romani

Il senatore Paolo Romani risponde con un cortese “no, grazie” all’appello del nostro giornale circa un possibile ingresso volontario di Forza Italia nella maggioranza di governo. Romani argomenta il suo rifiuto con una riflessione su ciò che occorrerebbe al Paese per rilanciarsi all’interno del sistema economico globale. Ma gli obiettivi indicati, ancorché condivisibili, conducono non alla prefigurazione di ciò che Forza Italia potrebbe rappresentare per il futuro dell’Italia ma a chiedersi cosa il partito berlusconiano abbia realizzato nel passato. Non c’è da dubitare della bontà della ricetta proposta da Romani. Tuttavia, non ci si può sottrarre dall’interrogarsi sul perché le tante cose buone e giuste prospettate nell’odierna riflessione dal dirigente forzista non siano state realizzate negli anni nei quali il centrodestra è stato al governo, godendo peraltro di un largo consenso elettorale.

Qui non si tratta di stare al gioco demolitorio della sinistra la quale, pur di abbattere il nemico, non si è fatta scrupolo di remare contro l’interesse nazionale ogni volta che ne ha avuto occasione. Neanche, però, si può tenere la testa sotto la sabbia fingendo che sia andato tutto per il meglio e che solo un complotto abbia fermato la luminosa e altrimenti inarrestabile marcia del centrodestra verso un radioso avvenire. Sono stati compiuti degli errori che meriterebbero di essere analizzati con la massima attenzione autocritica. Se non si affronta propedeuticamente tale passaggio anche il miglior spunto programmatico rischia di restare un vacuo esercizio letterario.

Alle elezioni per la Camera dei deputati, nel 2008, il Popolo della Libertà raccoglieva 13.629.464 voti. A dieci anni di distanza, nel 2018, Forza Italia ne ha ottenuto 4.596.956. Numeri alla mano, ne ha persi 9 milioni 32mila 508. C’è in giro qualcuno tanto curioso da domandarsi che fine abbiano fatto i milioni di elettori perduti? Una spiegazione risiede nel cattivo funzionamento delle coalizioni del centrodestra che, a detta dello stesso Berlusconi, hanno agito da forza frenante alla sua capacità propulsiva nell’attivare il processo di cambiamento del Paese. Non vi è dubbio che i vari Follini, Fini, Casini e un po’ anche Bossi siano stati ingombranti palle al piede della “rivoluzione liberale” promessa da Berlusconi nel 1994. Verosimilmente, si potrebbe asserire che il fallimento del centrodestra riguardo alla sua principale missione sia derivato dall’incapacità delle sue componenti di riconoscersi in una “Weltanschauung” condivisa. A destra non c’è stata sintesi di posizioni in vista della costruzione di una visione convergente del futuro della società italiana. Ciascuna forza è rimasta a guardia del suo “hortus conclusus”, anche quando è stata provata la strada del partito unico del centrodestra. La differenza capitale tra la tramontata coalizione berlusconiana e l’esperimento giallo-blu in corso d’opera sta nel fatto che i protagonisti di oggi stiano tentando concretamente di disegnare uno scenario programmatico unificante, nonostante partano da posizioni ideologiche e valoriali distanti.

Romani ritiene inopportuno l’ingresso di Forza Italia in maggioranza perché non produrrebbe alcun effetto sullo spostamento dell’asse di governo verso misure riconducibili al centrodestra. Ne è proprio convinto? Il sospetto, ce lo consentirà lo stimato senatore, è che la classe dirigente forzista sconti la propria inattitudine a cimentarsi con i processi di mediazione e di sintesi che sono alla base dell’azione di governo. Probabilmente servirebbe, per iperbole, un po’ di sana saggezza democristiana, nel senso di trarre dall’esperienza della Prima Repubblica il grande insegnamento del moderatismo il quale fondava sulla capacità di ricercare continui punti di convergenza nelle dinamiche confliggenti prodotte da interessi sociali ed economici diversificati e non meccanicamente sovrapponibili. Furono governi a guida democristiana, che tenevano insieme liberali tradizionali e socialisti pre-craxiani, che in tema di ortodossia marxiana non avevano nulla da invidiare ai comunisti, a varare riforme strutturali che hanno portato il Paese a diventare una potenza economica dell’Occidente avanzato. Su alcune questioni di fondo i socialisti “demartiniani” o “lombardiani” avevano una visione dei rapporti di classe antitetica a quella della destra democristiana patrocinata dai circoli dei proprietari agrari e del vetero-capitalismo manifatturiero. Eppure, hanno governato lungamente insieme, perché essi praticavano la mediazione, disponendosi a sacrificare qualcosa del proprio bagaglio ideologico a beneficio di un avanzamento complessivo della società. Al punto che si potrebbe azzardare un giudizio: il negoziato politico è stato il motore che ha mosso il migliore riformismo conosciuto nella storia della Repubblica.

Veniamo all’oggi. A volte ad ascoltare i grillini viene il voltastomaco. Ma la loro voce, piaccia o no, è quella di una parte della società che reclama soluzioni ai problemi. Perché allora non provare a incalzarli sul campo aperto di un confronto costruttivo? La sponda del fiume dalla quale attendere, impassibili, il passaggio del cadavere del nemico la si lasci alla sinistra che non ha altra prospettiva di sopravvivenza che prescinda dalla morte per autodistruzione dell’avversario politico. La chiave di volta del riscatto di Forza Italia è implicitamente contenuta nella riflessione di Romani. Quel “comprendere ed agire”, posto a rimedio della condizione di minorità alla quale una grande nazione è costretta per propria responsabilità rispetto ad epocali mutamenti di scenari, è la giusta formula per tornare a incrociare il consenso degli elettori. Sembrerebbe un gioco da ragazzi, ma non lo è. Perché il male oscuro della politica, che ha fatto naufragare anche i più ambiziosi progetti di cambiamento, ha avuto un unico stigma: uomini che non hanno compreso la realtà e non hanno agito nella giusta direzione. Pensa il senatore Romani che le cose per Forza Italia possano cambiare in positivo manomettendo il passato e negando il presente? Lo reputiamo troppo in gamba per crederlo.

Aggiornato il 20 settembre 2018 alle ore 11:56