Un manifesto-proposta per FI, l’intervento di Romani

Pubblichiamo l’intervento del senatore di Forza Italia, Paolo Romani, sul manifesto-proposta scritto dal direttore de “L’Opinione”, Arturo Diaconale. All’intervento nei giorni scorsi ha risposto sulle pagine de “Il Tempo” il capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, Maria Stella Gelmini. Invitiamo tutti i nostri lettori a sottoscrivere il manifesto, inviando la loro adesione all’indirizzo e-mail [email protected].

Ho letto e apprezzato la riflessione di Arturo Diaconale sul centrodestra pubblicata da “Il Tempo” per il livello e la capacità di analisi che lo contraddistinguono da sempre, anche se non ne condivido la proposta, l’ingresso di Forza Italia in questa maggioranza di governo, e mi appresto a spiegare le mie motivazioni. Il voto alle ultime elezioni nazionali ha disegnato un quadro politico frammentato, con un centrodestra in grande vantaggio, ma non capace di avere la maggioranza in Parlamento, ed un primo partito, definito dagli osservatori antisistema, il Movimento 5 stelle. Inoltre, all’interno del centrodestra stesso, si è registrato per la prima volta, il sorpasso della Lega su Forza Italia, il partito fondante e perno della coalizione. In questo scenario politico, dove il centrodestra è diventato destra-centro e il nuovo bipolarismo è fra una sinistra pauperista anti-industriale, anti-infrastrutturale, anti-società dello sviluppo ed una destra securista e sociale, non ritengo prima di tutto che i destini politici dell’Italia siano in mano ai due Mattei, né che lo sia il destino politico del Presidente Silvio Berlusconi.

Lega e 5 stelle hanno saputo interpretare meglio di altre forze politiche, non solo e semplicemente un voto di protesta come si è voluto credere, ma una forte esigenza di cambiamento, di una politica diversa. Hanno saputo meglio rappresentare la Paura del nord e il Malessere del sud. Ma gli italiani dal disagio vogliono uscire, non farvisi confinare, per essere trasformati in un elettorato affidabile per le forze populiste. Anche un partito come Forza Italia, che dopo la vis innovativa del ‘94 viene considerato tradizionale, o borghese come direbbero in Svezia, ha il dovere però di comprendere ed intercettare l’esigenza di cambiamento e di rinnovamento posta dagli elettori al sistema politico. E di farlo come può e sa in chiave costruttiva. Lo straordinario successo del Movimento 5 stelle si sta dimostrando, infatti, sempre più sterile e fine a se stesso, imbavagliato nel cambiamento dagli stessi impeti reazionari che lo hanno fatto nascere. Ma la cifra di questo governo non è data solo dai contrasti interni alla maggioranza, l’affinità fra Lega e 5 stelle è plastica e antropologica: li accomuna l’eccesso di semplificazione, non solo comunicativa ma anche nella formulazione della soluzione al problema; la tendenza a confondere il particolare con l’insieme, il problema del singolo con il bene comune; li accomuna ancora una congenita incapacità a valutare i grandi numeri, che li porta a sbandierare ridottissimi risparmi come strabilianti operazioni di giustizia sociale, a fronte di progetti di spesa esorbitanti; li unisce l’eccesso di reazione, al limite del fallo, in ogni occasione; ma soprattutto lo spirito giustizialista. Sulla giustizia poco può condividere una forza liberale di quanto proposto da questa maggioranza: dietro agli slogan sulla certezza della pena, sull’eliminazione della prescrizione e sull’aumento dell’uso delle intercettazioni, di fatto si nasconde un complesso di riforme volte ad indurire l’imputabilità, la determinazione e l’esecuzione della pena, nonché il trattamento dei minori in carcere; con un tratto di penna si è cancellata anche la proibizione a trascrivere le intercettazioni inutili ai fini delle indagini prevista dalla riforma Orlando, si tratta di tutte quelle conversazioni puramente private e prive di ogni rilievo per gli inquirenti che però finiscono ad ingrossare le pagine dei giornali; infine, l’apoteosi di uno Stato illiberale e persecutorio, l’agente provocatore, un vero e proprio istigatore al crimine che valuta l’integrità morale e la capacità di resistenza alle tentazioni di ogni cittadino.

L’azione di contrasto all’immigrazione clandestina di questo esecutivo è sicuramente condivisibile, anche se spesso ridondante e a volte controproducente per le modalità urlate e l’andamento sincopato da fughe in avanti e marce indietro in un continuo crescendo di toni che al di là di tutte le valutazioni politiche e di merito non giova al Paese e che finora ha portato l’Unione europea ad una chiusura totale e pretestuosa che probabilmente pagheremo anche su altri temi. L’accoglienza indiscriminata promossa da una certa sinistra, perché non va dimenticata l’opera positiva del ministro Marco Minniti, ha sicuramente comportato un danno per il nostro Paese in termini sociali, economici e di sicurezza, ed anche per tutte quelle persone che attirate dalla possibilità di successo si sono messe in viaggio in balia di trafficanti e aguzzini trovando spesso la morte nel Mediterraneo. Ma il fenomeno dell’immigrazione meriterebbe un approccio sicuramente più articolato: che consideri gli equilibri geopolitici, il ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale, la nostra presenza nel continente africano, il contrasto ai traffici criminali; e soprattutto tutta la fase successiva a quella emergenziale del salvataggio e della prima accoglienza, laddove come istituzioni abbiamo fallito se a fronte di una presenza di immigrati inferiore a quella di altri Paesi dell’Unione la percezione dei nostri cittadini è sicuramente maggiore. Le schiere di immigrati lasciati allo sbando per mancanza di programmi adeguati e per le lungaggini burocratiche finiscono nella migliore delle ipotesi nei circuiti del lavoro nero, nella maggior parte dei casi purtroppo ad ingrassare le reti criminali. Su questo dovrebbero concentrarsi gli sforzi di uno stato civile, ponendo particolare attenzione all’esito a cui sono destinati molti di quei minori non accompagnati che spariscono sul territorio italiano. L’impulso continuo alla contrapposizione sta ulteriormente limitando la nostra capacità di azione in Europa, vittime come siamo della visione dell’Unione come altro da noi. E negli scenari più critici l’incapacità di questo esecutivo a guardare al complesso degli elementi sta mettendo a rischio il ruolo stesso del nostro Paese. Penso alla Libia, un contesto in cui l’Italia dovrebbe utilizzare tutti gli strumenti di una nazione: da quello politico-diplomatico, che non va esercitato rivolgendo imprecazioni allo scomodo ma basilare alleato europeo sul terreno, Emmanuel Macron, in uno scontro forse più personale fra ‘apocalittici e integrati’ dell’Unione; a quello militare e di intelligence. Solo avvalendosi appieno di tutte le prerogative di una grande nazione quale siamo possiamo comprendere ed agire nel mutevole scenario ed insieme di attori.

L’ideologia della decrescita felice che sta alla base di tutta l’azione in campo di sviluppo economico di questo governo, dalla forte immagine salviniana ma dalla imperante politica grillina, è insostenibile. Dal blocco delle grandi opere, all’ostilità conclamata nei confronti delle imprese, fino alla criminalizzazione dei ‘corpi sociali intermedi’ additati come nemici nella continua caccia ai ‘poteri forti’, salvo poi rendersi conto che si tratta delle associazioni di categoria, come imprenditori, agricoltori, professionisti, sindacati, lavoratori, insomma... cittadini-elettori. Le aziende italiane devono essere sostenute con un sistema fiscale che induca agli investimenti e aumenti il potere d’acquisto dei lavoratori; le grandi filiere industriali devono essere protette dalle politiche commerciali dei nostri competitors internazionali; il settore agroalimentare e manifatturiero deve essere protetto dalle contraffazioni e promosso con un marchio qualificato e garantito di made in Italy; le eccellenze italiane salvaguardate da mero shopping aziendale straniero. L’apertura di nuovi mercati per le nostre imprese deve essere un obiettivo primario, investendo anche nella promozione culturale del nostro Paese dove anche la conoscenza della lingua italiana, della cultura e del vivere italiano fungano da campagna promozionale per i nostri prodotti. Valorizzando in un quadro di insieme le vocazioni culturali, ambientali di ogni singolo territorio, promuovendone gli interessi senza limitarsi al protezionismo casereccio e minimalista del ‘mangiamo italiano’. Se c’è un parco lo si renda fruibile nel rispetto dell’ambiente; se c’è una costa ed un mare ineguagliabile lo si renda fruibile al turista. Quanti ad Amburgo o Shenzhen sanno dell’esistenza di Paestum invece del solito Colosseo? Se la Manhattan del Medioevo che è San Gimignano, patrimonio dell’Unesco, è sconosciuta ai più che si precipitano solamente al Palio di Siena vi è un problema di comunicazione e di promozione complessiva del Paese. Se siamo depositari del 50 per cento dei giacimenti culturali del mondo abbiamo il dovere e la responsabilità di esporli, anche attraverso gli strumenti digitali più avanzati, in un percorso ordinato che mostri l’Italia dall’Impero Romano al Rinascimento, senza dimenticare le sue mille chiese che la rendono il territorio di sviluppo della cultura, dei valori e delle tradizioni cristiane dell’Occidente. L’Italia dovrebbe porsi l’obiettivo di divenire una vera e propria piattaforma logistica per merci ed energia, lo snodo fondamentale fra Occidente, Medioriente e continente africano, investendo nei sistemi di trasporto, nelle reti intelligenti, nell’accumulo delle fonti rinnovabili e soprattutto nella diversificazione.

Fondamentale dunque il Tap e la realizzazione di tutte quelle connessioni che rendano l’Italia un hub energetico a livello euro-mediterraneo, senza dimenticare la possibilità per il nostro Paese di essere anche un produttore di energia: con le fonti rinnovabili, sviluppatissime nel nostro territorio, ma anche quelle tradizionali. Le risorse petrolifere lucane, oltre a coprire parte del fabbisogno energetico nazionale, se ben sfruttate, potrebbero cambiare il profilo socio-economico di un’area svantaggiata senza danneggiare l’ambiente. Sono queste le motivazioni per cui ritengo sarebbe inopportuno l’ingresso di Forza Italia in maggioranza e complicato spostare l’asse dell’azione di questo governo verso misure riconducibili al centrodestra. La spartizione stessa delle risorse della manovra fra i due partiti di maggioranza, oltre a ricordare le lottizzazioni della prima repubblica, dividendo in due tronconi, distinti e forse contrapposti, le misure economiche, inficia il concetto stesso di azione di governo, di bene comune, di progetto per il Paese. Un sistema di gestione del potere ben lontano dal significato proprio del termine governare: guidare una nazione secondo un insieme di principi ed un programma. Un grande movimento liberale ha invece il dovere di interpretare i mutamenti della società e corrispondere ad essi come solo una grande tradizione culturale e politica può fare.

Mi si permetta di essere ancora più specifico e caustico: solo chi conosce i passaggi nodali della storia d’Italia, come l’8 settembre e mi riferisco alle parole improprie utilizzate dal Presidente del Consiglio nel ricordarlo, può immaginarne il futuro. Forza Italia deve avviare una fase costituente che parta innanzitutto dall’interno del movimento, senza limitarsi ai principi, valori e tradizionali risposte ai problemi riconoscibili nelle vecchie divisioni degli schieramenti, ma facendo proprio un inno alla modernità, all’innovazione, sia in termini di proposta politica sia in termini di strumenti di comunicazione, partecipazione e coinvolgimento dell’elettore. Se vogliamo disegnare un movimento in grado di superare le forze attualmente maggioritarie nella raccolta del consenso, dobbiamo non solo definire sistemi in grado di utilizzare le piattaforme digitali in modo ancora più efficiente, ma anche elaborare soluzioni a problemi che i cittadini sentono come prioritari, tenendo a mente il bene comune e non solo il singolo. Dall’altro canto dobbiamo prendere atto del fatto che il centrodestra come lo conoscevamo probabilmente non esiste più. Anche se resta uno straordinario progetto politico che continuerà a governare in qualche giunta del Nord, dove è nato storicamente e dove ha un radicamento territoriale, culturale e sociale, consentendo forse alle forze che lo compongono di ritrovare il senso di questa alleanza anche a livello nazionale. Non comprendere quanto sta accadendo vorrebbe dire consentire di spazzare via, a destra quanto a sinistra, i valori, la cultura, la storia di un Paese che ha saputo coniugare civiltà e integrazione, sviluppo economico e conservazione di una particolare specificità italiana, spirito di intrapresa ed attenzione ai più deboli. Senza una visione di insieme, valori collettivi e un progetto per il futuro si riduce la politica ad una somma di bisogni individuali fino all’esaltazione del piccolo rispetto al grande che connota l’alleanza di governo: poche tasse, piccole aziende, poco lavoro, poca fatica, pochi immigrati...

Serve un progetto politico al livello del grande Paese che è l’Italia. Grandi progetti infrastrutturali e di ripristino delle aree degradate con importanti interventi dello Stato e l’utilizzo dei fondi europei attraverso lo strumento dei contratti di sviluppo. Ma un grande progetto liberale non può non disegnare una nuova società in cui i diritti civili e le libertà individuali siano garantiti e difesi nel principio dell’uguaglianza, sia nell’ambito privato che pubblico, da uno Stato che respinga fermamente il ruolo di stato etico. La sfida è cruciale. Non è in gioco il rilievo di un movimento politico o di uno schieramento, è in gioco la sopravvivenza di una consolidata e condivisa tradizione culturale e politica, sono in gioco i principi della democrazia rappresentativa: il posto di Forza Italia è all’opposizione di questo esecutivo e in difesa dei cittadini, delle imprese, della società, e di quei pezzi dello Stato sotto il fuoco ‘amico’ continuo ed implacabile del governo stesso. Siamo responsabili tutti come italiani di un grande Paese, una grande civiltà, di valori e principi costituzionali. Come classe politica abbiamo il dovere di recuperare il ruolo di rappresentanza che è proprio di una repubblica parlamentare. La democrazia rappresentativa è un patrimonio inestimabile di libertà guadagnato anche a costo della vita dai nostri padri. La domanda che ci deve guidare è quale Paese vogliamo lasciare ai nostri figli.

 

Aggiornato il 18 settembre 2018 alle ore 11:03