La vera questione del debito pubblico

In attesa che le poderose armate del cambiamento si facciano valere a Bruxelles, soprattutto in materia economico-finanziaria, anche per arricchire le suggestive dissertazioni del nostro buon Cristofaro Sola sul debito pubblico, mi sembra doveroso inserire alcuni elementi di grigia realtà a codesta spinosa questione.

In estrema sintesi, come molto correttamente argomentato da Michele Boldrin in una recente intervista rilasciata al giornale on-line “Linkiesta”, il nostro pur colossale debito pubblico in sé non costituisce un problema insormontabile. Per l’ottimo economista il punto focale è invece un altro e riguarda la sostenibilità del debito medesimo.

Sostenibilità che, in soldoni, “rappresenta la capacità dello Stato di estrarre risorse dall’economia privata trasformandolo in gettito fiscale per servire il debito”. In questo senso, aggiunge Boldrin, è fondamentale innanzitutto “garantire i creditori che non si stia facendo crescere quest’ultimo oltre la propria capacità di servirlo”. E il termometro del “rapporto tra debito e Prodotto interno lordo serve proprio a mostrare che si è in grado di pagare gli interessi”. In questo modo si rassicurano i bistrattati mercati, cioè tutto coloro i quali ci prestano i quattrini, fornendo loro l’idea che il sistema pubblico sia ragionevolmente in grado di continuare a finanziare le relative cedole a tempo indeterminato.

Ora, al di fuori di questo stretto sentiero, che pure l’attuale ministro dell’Economia Giovanni Tria sembra aver dovuto obtorto collo imboccare, non c’è praticamente nulla per l’Italietta delle illusioni a buon mercato. In tal senso risultano assolutamente stupefacenti le dichiarazioni del vicepremier Luigi Di Maio, a margine del Consiglio europeo dei ministri del Lavoro che si è tenuto in Lussemburgo: “Il debito pubblico lo si deve ridurre con una ricetta; l’unica ricetta che non funziona è quella degli ultimi anni che lo ha fatto aumentare, cioè l’austerity, i tagli ai servizi essenziali dei cittadini. Se veramente vogliamo ridurre il debito pubblico dobbiamo fare investimenti, aumentare la domanda interna col reddito di cittadinanza e fare una riforma fiscale con la flat tax”.

Il che tradotto significa far lievitare la già elevatissima spesa corrente, tagliando le tasse in deficit. Il risultato di una simile strategia, realizzata senza l’ombra di un abbattimento della spesa pubblica improduttiva, provocherebbe una forte impennata del disavanzo. E ciò, tornando al ragionamento iniziale, avrebbe effetti catastrofici proprio sulla solvibilità del sistema pubblico. Gli investitori, al cospetto di una dissennata politica basata su nuovi prestiti, fuggirebbero in massa dai nostri titoli, causando una immediata risalita dei tassi d’interesse e innescando quella che molti economisti chiamano “effetto palla di neve”.

La conseguente valanga finanziaria, caratterizzata dall’esplosione incontrollata del citato servizio del debito, ci seppellirebbe senza speranze, insieme all’incredibile bagaglio di infernali scorciatoie che sta sempre più connotando la nostra politica da avanspettacolo.

Aggiornato il 25 giugno 2018 alle ore 13:09