Resistenza storica e Resistenza antisemita

A Milano lo striscione della Brigata Ebraica, quella che inserita nell’VIII Armata inglese risalì combattendo la penisola dal ’43 al ’45 contribuendo alla liberazione dal nazifascismo, è stata contestata durante il tradizionale corteo che celebra la Resistenza.

Non si è trattato di una novità ma della conferma di una prassi ormai consolidata. A Milano il ricordo della Brigata Ebraica viene sempre contestato da gruppi sempre più forti di antagonisti e di sedicenti antifascisti. L’Anpi milanese e nazionale, che conosce perfettamente questa prassi, non prende alcun tipo di provvedimento preventivo per impedirla e non spende neppure una parola di condanna a contestazione ripetuta e avvenuta.

Il rituale di contestazione milanese è talmente ripetitivo che a Roma la Comunità Ebraica ha preferito evitare i soliti incidenti degli anni passati e ha celebrato il 25 aprile in maniera autonoma e separata. Per evitare che le organizzazioni filopalestinesi, autorizzati dall’Associazione Nazionale Partigiani a partecipare alla cerimonia ufficiale, dessero corso alla minaccia annunciata di approfittare della celebrazione di Piazza San Paolo per contestare gli ebrei romani accusati di essere complici dell’occupazione di stampo nazista compiuta in Palestina dallo Stato sionista d’Israele.

Di fronte a questi avvenimenti, a cui si sono aggiunte le contestazioni antiebraiche nella Risiera di San Saba, le poche proteste che vengono avanzate sono regolarmente seppellite dalla retorica ufficiale sul valore storico, politico e morale della Resistenza. Eppure le contestazioni milanesi ai danni del ricordo della Brigata Ebraica e la scelta della Comunità Ebraica romana di celebrare autonomamente la data del 25 aprile pongono un quesito di fondo. Qual è la Resistenza che si celebra? Quella storica che segna la data della fine del secondo conflitto mondiale, la sconfitta del nazismo e la cancellazione definitiva del regime fascista? Oppure sulla motivazione della celebrazione storica si è innestata una nuova e diversa motivazione che trasforma il 25 aprile nell’occasione per esaltare ogni forma di Resistenza contro ogni tipo di oppressione? L’Anpi, dove per ragioni anagrafiche i partigiani che parteciparono alla guerra di liberazione sono ormai una esigua minoranza, sembra aver compiuto una scelta precisa in favore della seconda motivazione. Accetta e avalla l’uso strumentale che viene fatto dell’anniversario storico e trova una nuova motivazione per la propria esistenza schierandosi in favore del Resistenza di oggi contro le oppressioni del presente.

Ma quali sono per l’Anpi le oppressioni del presente? Quelle che si compiono ai danni dei cristiani nei Paesi dominati dal fondamentalismo islamico? Niente affatto. Quelle che si verificano nel Venezuela chavista, nella Cuba post-castrista, in Sudan, in Eritrea, nell’Iran komeinista o nella Cina nazional-comunista? Meno che meno. L’unica forma di Resistenza che l’Anpi legittima e fa propria è quella di Hamas, di Hezbollah e di tutte le numerose sigle delle organizzazioni palestinesi contro lo Stato d’Israele, contro le comunità ebraiche che in Occidente non recidono il legame con Gerusalemme e contro gli Stati Uniti di Donald Trump, colpevole di non aver seguito il predecessore Barack Obama nella politica di abbandono al proprio destino dello stato ebraico.

Ma se questa è la Resistenza dell’Anpi è chiaro che quella del passato viene non solo vilipesa e stravolta ma anche di fatto cancellata. E il suo ricordo viene vergognosamente strumentalizzato per alimentare ogni nuova forma di antisemitismo e di autoritarismo di stampo neo-nazista.

Aggiornato il 26 aprile 2018 alle ore 17:31