Dal Colle parte il viaggio dell’esploratrice

Non poteva che andare così. Lo stallo prolungato nella formazione del nuovo Governo ha spinto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a convocare al Quirinale il presidente del Senato, la forzista Elisabetta Alberti Casellati, per conferirle un mandato esplorativo allo scopo di verificare la possibilità di dare vita a un governo sostenuto dal centrodestra e dal Movimento Cinque Stelle.

L’esplorazione non andrà per le lunghe visto che il tempo concesso alla Casellati si esaurirà entro venerdì prossimo, quando dovrà tornare al Quirinale per riferire al capo dello Stato gli esiti della verifica. Troppo poco per provare a superare almeno uno dei veti incrociati con i quali le forze politiche hanno minato il terreno dell’avvio della legislatura. Già, perché di veto non c’è soltanto quello posto dai Cinque Stelle alla partecipazione di Forza Italia, e del suo leader Silvio Berlusconi, alla composizione dell’asse di governo.

C’è il blocco posto da Matteo Salvini sul Partito Democratico. E poi c’è il doppio niet dei “Dem” a sostenere maggioranze che includano, anche alternativamente, i leghisti e i grillini. Visti i numeri dei diversi schieramenti ciò che appare scontato è che nessun protagonista potrà contare sulla possibilità di fare shopping in Parlamento dei voti di deputati e senatori che decidano individualmente di fare il salto della quaglia. Troppo grande la distanza dalla soglia della maggioranza assoluta per sperare nella conversione dell’ultim’ora di qualche “responsabile”.

I paletti posti da Mattarella non lasciano grandi margini di manovra alla presidente Casellati che dovrà muoversi su un sentiero stretto, ai limiti dell’impraticabilità. Oltre alle idee e ai programmi differenti, ci sono gli uomini con le loro ambizioni, le loro idiosincrasie, le loro paturnie a rendere complicata la sintesi. Luigi Di Maio è diventato un disco rotto a furia di ripetere all’universo mondo e a se stesso: “Il premier lo faccio io”.

Matteo Salvini prova a divincolarsi dall’abbraccio del suo principale alleato, Silvio Berlusconi, ma non vi riesce. Perché, di là dalla forza seduttiva del personaggio Berlusconi, le urne del 4 marzo gli hanno consegnato una sentenza che, piaccia o no, il leader leghista deve rispettare. “Sarai pure un fenomeno ma senza l’apporto dell’area liberale, caro Matteo, non vai da nessuna parte”: corpo elettorale dixit. Per quanto cattolicissimi, il capo dello Stato e la presidente del Senato non hanno gli strumenti e il potere di provocare eventi provvidenziali che, d’incanto, risolvano positivamente la crisi.

Allora, si dirà, che senso ha avuto il conferimento dell'incarico esplorativo? Certamente è servito a comprare tempo. Non è escluso che il Quirinale voglia verificare se qualche timido segnale di crepa rispetto all’iniziale solidità delle posizioni si evolva o rientri. La cosa riguarda i Cinque Stelle. Dopo aver dato per scontato che fossero un monolite indistruttibile qualcuno si è accorto dell’incrinatura dei rapporti tra il candidato Di Maio e i suoi alter ego: Alessandro Di Battista e Roberto Fico. Se, come tutto lascia intravedere, alla fine della settimana la situazione fosse ancora in stallo, il Presidente della Repubblica potrebbe decidere di aprire lui il cosiddetto secondo forno, quello del dialogo tra i Cinque Stelle e il Partito Democratico. In questo caso, confermerebbe il mandato esplorativo ma non più alla presidente Casellati ma alla “terza carica”, Roberto Fico. Al grillino della prima ora di dichiarate simpatie di sinistra Mattarella potrebbe chiedere di verificare se vi siano margini per saldare un’alleanza di governo tra Pd e Cinque Stelle, magari anche stemperata nella formula dell’appoggio esterno ad un esecutivo monocolore grillino. Solo dopo l’esperimento delle due ipotesi alternative il Quirinale cambierà registro nella conduzione delle trattative puntando ad una soluzione terza sulla quale richiamare la responsabilità di tutti i partiti a sostenerla in Parlamento. Se neanche il “Governo del Presidente” riuscirà a prendere il largo, non resterà granché da fare se non riportare gli italiani alle urne per affrontare, nelle condizioni date da una pessima legge elettorale, una sorta di ballottaggio tra il centrodestra e i Cinque Stelle.

Lo spettro di un  ritorno a stretto giro alle urne consiglierà a Mattarella di mandare in Parlamento a chiedere una fiducia che non ci sarà una squadra di governo composta da persone che godono della sua stima. Non sarà un capriccio ma una cautela. Una compagine di governo entra comunque in carica per gestire l’ordinaria amministrazione, anche se non ha ricevuto la fiducia dalla maggioranza degli eletti in entrambe le Camere. Sarà un esecutivo destinato al disbrigo degli affari correnti che però servirà a garantire al Paese un’equidistanza dalle forze politiche nella fase di svolgimento di una campagna elettorale che si preannuncia sanguinosissima. Sembrerà di rivivere i tempi in cui gli italiani andavano in vacanza con i governi balneari. Ma se tornano di moda le canzoni degli anni Sessanta, perché scandalizzarsi di un flash mob in stile Prima Repubblica?

Aggiornato il 18 aprile 2018 alle ore 13:58