La crisi siriana batte un colpo a Roma

giovedì 12 aprile 2018


Non c’è niente di più salutare di un bagno di realtà per dare la sveglia ai politici nostrani prigionieri dei loro stati onirici, popolati da improbabili soluzioni di governo. Bizzarro che la scossa venga da lontano: dalle sabbie insanguinate della Siria.

La vicenda dell’uso delle armi chimiche che Bashar al-Assad avrebbe nuovamente impiegato per stanare le ultime resistenze dei ribelli al suo regime è l’occasione per le potenze occidentali di rimettere in discussione il consolidamento nell’area del Vicino Oriente della leadership della Federazione russa, condivisa organicamente con la Repubblica iraniana degli ayatollah e con l’ondivaga Turchia dell’autocrate Recep Erdogan. Il presidente statunitense Donald Trump ha deciso di reagire. È certo che lo farà. Ciò che si attende di sapere verte sul quando avverrà e sul quanto la rappresaglia sarà intensa. Se si limiterà a colpire attrezzature e sistemi d’arma siriani; se gli americani, com’è già accaduto in passato, agiranno in modalità deconflict, cioè se avvertiranno i possibili target prima di colpire di modo da limitare il numero di vittime umane o se, tra gli obiettivi, vi saranno anche mezzi e personale delle forze alleate di Assad. Cioè russi e iraniani. Non è questione secondaria: l’intervento americano potrebbe innescare un’escalation del conflitto dagli esiti imprevedibili.

Si potrebbe giungere anche alle estreme conseguenze di una guerra tra le maggiori potenze globali. Ma quest’ultima ipotesi è la più remota. Resta però il problema della partecipazione degli altri Stati occidentali alla rappresaglia annunciata da Washington. E tra questi c’è l’Italia alla quale potrebbe essere richiesto di autorizzare l’uso delle basi militari statunitensi dislocate sul proprio territorio. In particolare le strutture di Sigonella e di Aviano potrebbero essere interessate all’implementazione dei piani d’attacco Usa. Ma qui casca l’asino. Il nostro Paese attualmente non ha un governo nel pieno delle sue funzioni. Il che si traduce nell’impossibilità del premier in carica per il disbrigo degli affari correnti, Paolo Gentiloni, e dei suoi ministri di rispondere alcunché agli alleati d’oltreoceano senza aver preventivamente coinvolto il Parlamento nella decisione.

Ora, il quadro politico fornisce l’esatta fotografia della spaccatura che attraversa il Paese. Da una parte il centrosinistra, con il Partito Democratico in testa, che si schiera al fianco degli alleati senza se e senza ma; dall’altra il centrodestra che, da Matteo Salvini agli esponenti di Forza Italia, ha tirato il freno sulla possibilità di correre a piegarsi agli ennesimi diktat occidentali. Non si vogliono inasprire ulteriormente i rapporti con Mosca prima di aver verificato con precisione la veridicità della accuse rivolte ad Assad circa l’uso delle armi chimiche. Indagini di reporter indipendenti, infatti, avrebbero messo in serio dubbio le accuse lanciate dai ribelli anti-Assad, insinuando la possibilità che quelle sull’uso dei gas siano “fake news” messe in giro ad arte per stimolare la reazione armata statunitense. Poi ci sono i Cinque Stelle che, ancora una volta, hanno dimostrato di non aver una linea di politica estera. La domanda secca: “da che parte stare?”, i grillini l’hanno elusa con gli slogan e con le frasi di circostanza pronunciate dal candidato premier Luigi Di Maio, del tutto prive di sostanza. Il giovane pretendente alla poltrona di Palazzo Chigi ha invocato una soluzione condivisa dai partner europei che equivale pressappoco alle risposte delle candidate a “Miss qualcosa” sulla pace nel mondo. Aria fritta allo stato puro.

L’Europa, com’è noto, non esiste, almeno sul piano della geopolitica. Francia e Gran Bretagna sono già in azione al fianco degli Stati Uniti. Di cosa dovrebbe discutere Emmanuel Macron in sede Ue se ha già deciso tutto? Forse che aspetti di ricevere una speciale benedizione dalla signora Federica Mogherini, Alto Rappresentante della politica estera (che non c’è) dell’Unione europea, prima di muoversi? Qualcuno ritiene che il capo dell’Eliseo abbia a cuore il parere italiano sulla missione? È illusorio pensarlo. Sette anni di governi tappetino hanno abituato i partner forti dell’Unione a dare per scontata l’adesione italiana a qualsiasi iniziativa venga presa a Parigi o a Berlino.

Il giovane Emmanuel Macron, da emulo dei suoi più illustri predecessori: Napoleone Bonaparte e Charles De Gaulle, interrogato sul coinvolgimento italiano nella rappresaglia anti-Assad (e anti-Putin) risponderebbe: “l’intendenza seguirà”. Se questo è il quadro, ciò che serve adesso all’Italia è di avere un governo che prenda una posizione chiara della quale rispondere ai connazionali. Sarebbe preferibile che il nuovo esecutivo si mostrasse in grado di invertire la rotta nei rapporti con gli alleati, dopo anni di sistematiche umiliazioni rimediate dai governi del centrosinistra. Almeno, che si provasse a dire al mondo che l’Italia non è lo scendiletto degli altri, americani e francesi compresi, ma che il nostro Paese è capace di elaborare un pensiero autonomo che non necessariamente debba sempre e comunque coincidere con i desiderata dei partner occidentali. Che oltre ai molti sì che costantemente si concedono agli interlocutori stranieri ci può stare anche qualche no.

Felice è quella nazione che affida il suo timone a nocchieri che sappiano riconoscere nel buio della notte la stella polare. Che poi, nel firmamento dello politica, non è che l’interesse nazionale. Ecco cosa occorre subito! Un governo che faccia il nostro interesse. Sarebbe troppo sperarlo?


di Cristofaro Sola