Perché Salvini contro i veti di Luigi Di Maio

Nell’attesa che le forze politiche decidano come occupare le caselle istituzionali delle vicepresidenze di Camera e Senato, le prove generali di avvicinamento tra Lega e Movimento 5 Stelle hanno subito una brusca battuta d’arresto.

Le possibili convergenze, aperture e mediazioni sui rispettivi punti qualificanti e sulle promesse fatte in campagna elettorale dai protagonisti indiscussi del dopo-voto si sono incagliate sullo scoglio della futura premiership. Lo scontro è più di una temporanea schermaglia di rito, di un gioco delle parti tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, l’uno impegnato a pretendere il rispetto di quella volontà popolare che ha assegnato oltre il 32 per cento di voti al M5S e indicato lui come candidato premier, l’altro a inscenare un immediato stop alle condizioni del leader pentastellato.

No, quei “Se Di Maio dice ‘o io al governo o nessuno’, salta tutto” e “Niente veti su Forza Italia” pronunciati da Salvini oltrepassano la disputa formale, sono la prova di una contrapposizione reale che apre addirittura al 50 per cento di possibilità di tornare al voto. Accantonate, dunque, per ora, le aperture su reddito di cittadinanza come strumento per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro da parte di Salvini e il contestuale accantonamento della flat tax al 15 per cento, la modifica della Legge Fornero. Ma rimane bloccato anche, e con toni perentori, il tentativo di Luigi Di Maio di spaccare il centrodestra per isolare Forza Italia e togliere a Salvini il diritto di rivendicare il governo in nome del 37 per cento conquistato dalla coalizione moderata.

Sfuma ineluttabilmente, dunque, l’ipotesi di un governo Lega-Cinque Stelle? Al momento si polverizza quella prospettiva di relegare Forza Italia in posizione di sempre maggiore opaca marginalità che anche il leader leghista sa bene non sarebbe stata un monolite ma piuttosto uno sperone di arenaria che di stabile avrebbe avuto soltanto la contabilità in Parlamento, ma nel medio termine avrebbe mostrato le fragilità dell’apparente quadratura del cerchio tra Lega e M5S.

Forza Italia, oltretutto, per quanto fortemente ridimensionata, manda segnali di sicuro impatto sugli sviluppi politici tra i protagonisti della trattativa per la formazione del governo. L’azionista di maggioranza del centrodestra, dunque, si tiene stretta l’unità della coalizione e soppesa le prossime mosse. Ognuno torna nella propria trincea, dunque. Tanto più che il M5S non ci sta a dove subire il certo fuoco amico del suo elettorato e dei suoi parlamentari politicamente più vicini alla sinistra, a causa di un governo di ‘convergenza’ con Lega e, sebbene su temi specifici e programmi, con FI.

Per ora rimarrà in panchina anche un Partito Democratico devastato e che avrebbe tutto l’interesse a puntare sulla cannibalizzazione da parte di Salvini dei parlamentari e dei voti di Silvio Berlusconi. La prospettiva pochi giorni fa è stata tratteggiata da Roberto Giachetti nella nemmeno troppo celata speranza che il Pd, fermo nella volontà di restare forza di opposizione, possa in prospettiva godere degli utili della disgregazione-radicalizzazione di Forza Italia, e occupare quella prateria moderata e conquistare il suo elettorato (di cui è bene ricordare l’esistenza e l’impermeabilità a qualsiasi tsunami sovranista, giustizialista ed estremista).

Il calcolo non è peregrino: Forza Italia e i suoi passati fasti trasformata a breve in Forza-centrifuga in cui i neoeletti, meno fedeli a Berlusconi, sarebbero già pronti a gettare i loro cuori oltre l'ostacolo delle recenti fratture tra i due maggiori azionisti dell’area moderata per confluire nella Lega. Il calcolo di assegnare a Forza Italia un mero posto da spettatore inerme e pensare che nel partito non si comprendano l’azzardo e le incognite di una tale ipotesi è però segnato da ingenuità.

A osteggiare sviluppi del genere, come si è visto, è la stessa Lega: Salvini ha tutto da guadagnare dalla sopravvivenza di un partito che seguiti a dare voce all’area moderata, popolare, liberal-garantista e riformista in grado di contrastare l’intenzione di Matteo Renzi di diventare l’Emmanuel Macron italiano.

 

Aggiornato il 28 marzo 2018 alle ore 17:27