Romani non è solo un nome

Sullo sfondo della coppia politica dell’anno, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, si muovono altri personaggi, altri attori, altri protagonisti. Si fanno altri giochi. Si parla del più e del meno politico-parlamentare. Non è infrequente imbattersi in crocchi dove la domanda prevalente che gira è: ci tocca vedere un Silvio Berlusconi che ritorna – con tutti voti che ha perso – che alza il dito, interviene, si fa propaganda, si illude di essere quello di prima. Il punto tuttavia ci sembra un altro, sia pure a margine della questione “ritorno” e riguarda appunto l’illusione a proposito di un Cavaliere “ritornato come prima”.

Ebbene, se ci è consentito, il Berlusconi che abbiamo visto all’opera in questi primissimi passi dopo il risultato elettorale, ci sembra non solo diverso ma politicamente migliorato rispetto a prima quando innalzò sulla tomba della Prima Repubblica la corona trionfale dei suoi successi. Certo, l’esperienza aiuta come pure le sconfitte, tenendo presente comunque che il Cavaliere non è candidabile al Parlamento. A maggior ragione, dunque – non col suo ritorno perché non se n’è mai andato ma col suo rientro sulla scena e in primo piano – Silvio Berlusconi ha subito mostrato all’inclita e al volgo, e pure alla sua coalizione con Salvini premier in pectore, di essere capace più degli altri a dare, come si dice, una zampata da vecchio leone innanzitutto rimanendo fermo sul punto che un ricorso immediato alle elezioni anticipate è da scongiurare, attirandosi in tal modo consensi, anche se silenti, dai tantissimi parlamentari appena eletti ma, nel contempo, avviando innanzitutto Salvini sulla strada maestra di un maggioranza reduce da una vittoria non qualsiasi ma di una coalizione.

Il Cavaliere ritorna così al centro della politica. E ci resta. Ovviamente il cammino è lungo e gli ostacoli non mancano e gli errori ci saranno, forse (anche senza forse) dai pentastellati dopo un successo tanto strepitoso quanto immeritato se si pensa che i grillini non hanno un programma, non hanno un progetto, non hanno una proposta nazionale ed europea degna di questo nome, salvo quella dell’abolizione dei vitalizi.

Da cui si evince, innanzitutto, una desolante pochezza ideale-ideologica-programmatica che tentano di nascondere dietro un manto che copre un’incapacità pari alla loro arroganza e supponenza. E che hanno mostrato anche, se non soprattutto, con quel “No” a qualsiasi incontro con il Cavaliere, ed è un peccato che nessuno, nemmeno di Forza Italia, abbia commentato con un bel: ma chi vi credete di essere? In compenso, quella ridicola negazione ha per dir così reso più pimpante Berlusconi con i suoi obiettivi fra cui il ridimensionamento del Movimento 5 Stelle, il consolidamento della coalizione e l’aiuto a Salvini ben conscio, tuttavia, che i ruoli istituzionali (Camera e Senato) meritano un’attenzione molto superiore della precedente nel quadro politico uscito dalle urne.

Ed eccoci alla scelta di Paolo Romani come presidente del Senato. Si parla di prova di forza di Forza Italia su un candidato con un curriculum del tutto in regola e che dopo tre votazioni potrà essere eletto alla seconda carica del Paese in un quadro della italica Polis in cui proprio l’arroganza pentastellata, pagando uno scotto a una evidente inesperienza, dovrà come si dice abbassare le ali al loro giustizialismo, che resta, non si sa fino a quando, la caratteristica più importante e una della poche se non l’unica e vera ragione della loro non politica. Il ritorno al centro della scena del Cavaliere si accompagna così al nome di Paolo Romani e la scelta dunque non è affatto casuale. Non è soltanto un nome. Ma, volenti o nolenti, il simbolo più visibile di quel ritorno.

 

Aggiornato il 24 marzo 2018 alle ore 12:04