Voci e silenzi su Camera e Senato

Si fa presto a dire: Camera e Senato. Nel senso dei due presidenti da eleggere. Intanto bisogna trovarli. Quindi eleggerli. Ma poi? Il fatto è che i preliminari dell’insediamento di un nuovo Parlamento – e questo, per dirla alla milanese è davvero “nuovo di pacca” – sono da sempre complicati dai passi successivi di cui, quelli per il nuovo governo, sono non meno ardui.

Sicut erat in principio, verrebbe voglia di latinizzare, se non fosse che l’attuale stallo è molto diverso da quelli di prima non tanto o non soltanto per l’avvento di un soggetto nuovissimo come il Movimento 5 Stelle quanto, soprattutto, per la sostanziale se non abissale diversità di questi ultimi non solo con la Lega alleata pro tempore, ma anche con tutti gli altri, a cominciare proprio da un alleato (e quale alleato) di Matteo Salvini, cioè Silvio Berlusconi. Il quale sembra aver imposto un silenzio, oltre che ai suoi, a se stesso, sia per il disegno in fieri dell’attuale coppia politica che guida le danze, sia per le proprie condizioni di alleato alla Lega, di certo secondo per numero di voti ma comunque di fondamentale importanza in un contesto italiano e soprattutto europeo, se non mondiale. Il che ben lo sa un Cavaliere che lascia fare e dire, nella consapevole certezza che i cosiddetti conti finali (politica, programmi, posti, ecc.) seguiranno e chi avrà più filo da tessere, tesserà.

Anche, se non soprattutto, nei contenuti e nei toni di un’alleanza non aliena dai conflitti (come tutte, del resto) ma pure premiata da consensi sicuri per il governo della cosa pubblica, locale, regionale e nazionale. Con una novità in campo leghista: Bobo Maroni. Sì, proprio lui, l’ex presidente della Regione Lombardia, che ha gestito positivamente dopo il periodo realizzativo nient’affatto formigoniano, lasciando lo scettro al successore Attilio Fontana, già buon sindaco di Varese. Perché Maroni è la novità? Intanto uno che ha la storia di Bobo non va né può essere mandato a casa, come si dice brutalmente, tanto più se dallo stesso non provengono appelli o desideri, vuoi per il carattere maroniano vuoi per l’inutilità politico-strategica di appelli ancorché vibranti in un quadro per dir così “in fieri”, sol che si guardi allo stallo di cui sopra.

Ebbene, la storia di Maroni è analoga a quella di un Salvini specialmente dal punto di partenza nella comune condizione-militanza leghista (una volta avremmo aggiunto “bossiana”) di entrambi. Ma adesso che il movimentismo salviniano, con tanto di alleanza insieme ai grillini, sembrerebbe quasi configurarne uno sviluppo di governo comune, siamo certi che il cammino a tutt’oggi trionfante salviniano non possa incontrare sassolini o massi frapposti dall’interno di un “partito” spinto bensì all’unanimismo ma dalla natura certamente movimentista?

E in un contesto del genere è immaginabile che Maroni resti, per dir così immobile, a parte, silente, inoperoso, solitario? No, non è immaginabile e neppure logico e, come sempre, vale il detto del chi vivrà vedrà. Qualcuno accenna al silenzio berlusconiano su queste come su altre questioni in un contesto già di per sé complesso e un po’ inestricabile. Forse se ne potrebbe dedurre che chi tace acconsente, se non fosse che il cammino lungo e la meta lontana suggeriscono calma e prudenza. E pure silenzio, appunto.

E di Camera e Senato, come si diceva all’inizio? Data l’attuale situazione, resta non del tutto facile pensare che sia raggiungibile in un colpo solo un’intesa affinché le elezioni di chi dovrà presiedere Camera e Senato rappresentino un sicuro viatico per la costruzione del futuro governo, pur immaginando una strada tutto sommato meno ardua sia per Montecitorio che per Palazzo Madama. Ma per Palazzo Chigi sarà tutta un’altra storia. E Berlusconi lo sa.

 

Aggiornato il 19 marzo 2018 alle ore 18:33