I silenzi del Cavaliere

Chi si somiglia si piglia. L’antico adagio lo ripetiamo sovente, soprattutto quando ci serve per accorciare ragionamenti bisognosi, se seri, di tempo. E infatti, appiopparlo al duo Salvini-Di Maio comporta una secchezza di giudizio stridente con la necessaria, se non ovvia, durata di una riflessione per dire appropriata. Ma del resto sappiamo che sia chi scrive che chi legge va, come si dice, per le spicce, soprattutto in politica.

Soprattutto, staremmo per dire, a proposito del capo della Lega e di quello (pro tempore) del Movimento 5 Stelle non fosse altro perché, oltre ad essere usciti primi e secondi delle elezioni, si comportano come se fossero in maggioranza; come se detenessero un ideale 51 per cento o giù di lì. Per governare. Qualcuno aggiunge più o meno provocatoriamente: insieme. Mah.

Il fatto è che nel gran parlare, e non solo dei due, le affinità tematiche si avvertono con chiarezza, sia pure temperate da ragionamenti diversificati, ma non molto, specialmente in riferimento a obiettivi come la globalizzazione, i dazi, l’Europa e, perché no, l’Euro. Uscire dall’Europa, uscire dall’Euro. Per andare dove?

Ma è su certe parole che, vedi il caso di Luigi Di Maio, un approfondimento meno affrettato ne scorgerebbe le antiche discendenze e, al tempo stesso, le conseguenze. Basti prendere ad esempio non tanto o non soltanto il caso del Jobs act (che, comunque, la dice lunga), ma una specie di sì ai dazi e un no alla globalizzazione sullo sfondo di quella che viene fuori da un Di Maio circa una neo-democrazia diretta e ne prevede una terminologia per cui citare il nome di Rousseau non è così vago. Giacobini, giacobinismo, repubblica dei cittadini ecc.. E il termine onestà... E la canzone: Aux armes, citoyens! Formez vos bataillons!

E che dire dell’aiuto mensile di 800 euro contando sulla potenza delle casse pubbliche (e le tasse necessarie?) sicuri del potenziamento proprio di quella democrazia diretta in un’Europa che sembra andare in una direzione opposta, più o meno. Si dice (dicono) di essere in un’Era post-ideologica, ma allora, che dire di un implicito ritorno all’assistenzialismo laddove proprio il no al Jobs act sembrerebbe annunciarne l’avvento insieme a un’esigenza imponente di soldi dello Stato, cioè di tutti...

Ed eccoci, allora, alla repubblica dei cittadini cara al Di Maio sull’onda del pensiero di Rousseau magari con un appunto moderno come quello contro il Jobs act e, non dimentichiamolo con il lancio di quell’altra parola, onestà, usata e abusata proprio dai giacobini ai quali, non bisognerebbe mai ometterlo, piaceva cantare in coro un inno di guerra: Aux armes, citoyens! Formez vos bataillons! Con quel che segue.

Sullo sfondo, almeno per ora, il silenzio di Silvio Berlusconi che, pure, ha una parte notevole non tanto o soltanto nell’alleanza che conosciamo, ma, se guardiamo ai dati elettorali pur in una prevista diminuzione numerica parlamentare, spicca la consistenza del gruppo senatoriale di Forza Italia, che non andrebbe sottovalutata, anche e soprattutto dai suoi alleati. A cominciare da Matteo Salvini.

I silenzi berlusconiani non dureranno a lungo, c’è da giurarci, e possiamo già ora immaginare che per un liberale come lui, i sì a nuovi dazi e i no alla globalizzazione, gli 800 euro ecc. sullo sfondo di un proclama annunciante l’avvento dell’era post-ideologica, avranno una risposta soprattutto mettendo in risalto una contraddizione, una sorta di nonsense in quanti parlano di nuova Era, post-ideologica decisamente sui generis, se è vero come è vero che ben poco di nuovo, anzi di antico, esiste nella restaurazione di quell’assistenzialismo che di liberale e di moderno aveva poco o niente a che fare allora. Figuriamoci oggi.

Aggiornato il 17 marzo 2018 alle ore 08:18