Post 4 marzo: dal “vaffa” a De Gasperi

martedì 13 marzo 2018


L’invito (simile quasi a un’invocazione), da parte di Sergio Mattarella, perché il senso di responsabilità prevalga su egoismi, chiusure e risse (da cortile) dei diversi contendenti post 4 marzo, era ed è un obbligo, un passaggio necessario, un’esigenza persino ovvia. Anche da parte dei cittadini. O almeno di quella parte che, dopo ogni elezione, si attende un governo. Altrimenti a che serve votare?

Succede ovunque, democraticamente parlando. Ma, come puntualizza il direttore, se il senso di responsabilità non è affatto da escludere, non meno vero è che questa responsabilità non è né può essere estesa nel tempo; è provvisoria, dalla durata di non più di un anno, e semmai con un governo di emergenza nazionale per un chiarimento politico finale.

Intanto, chi sembra – dico sembra – avere assunto toni, timbri e voci più ispirati alla suprema responsabilità di governare il Paese, è il Presidente del Consiglio in pectore Gigino Di Maio; tallonato, ma solo in parte, da Matteo Salvini, sia pure con altri toni, timbri e voci ancorché poco scandenti il nordismo della Lega cui deve tanto se non tutto il Bossi d’antan. La differenza fra i due, tuttavia, non è tanto o soltanto nelle percentuali di consensi, quanto, soprattutto, nelle impostazioni per dir così politiche nelle quali, soprattutto nel caso del grillismo a guida Di Maio-Casaleggio è di tutta evidenza e, va pur detto, di tutta memoria anche per gli smemorati, il prima e il dopo del Movimento 5 Stelle.

Già il prima, quello del “vaffa” con tanto di “vaffa day” battesimale che sarebbe anche uno slogan da trivio ma pur sempre un’auto-pubblicità pour écouter, per scioccare il popolo. Ma la vera conseguenza attivata dal grillismo era e resta la macchina del fango che, per l’appunto, si sublima(va) nell’indimenticabile “vaffa”, ma si scioglieva nelle urla contro tutto e contro tutti (gli altri) con una quantità di insulti ad personam e ad movimentum che non ha eguali nelle democrazie mondiali. Non a caso, un ex pentastellato napoletano di nome Arnaldo Capezzuto sta spiegando come funziona proprio quella macchina che, peraltro, è stata ed è la più vera protagonista degli exploit grillini. Ma sempre non a caso, il Presidente del Consiglio, sia pure in pectore, si affanna a ridurre ridimensionandone l’offensiva verbale in nome di quel “lenire sopire, allontanare il fuoco dalla paglia” che il genio manzoniano ha così bene rappresentato.

Quel lenire e sopire è del resto necessitato dalle conseguenze del versante per dir così promittente, per via delle promesse, della campagna elettorale pentastellata che, come si può, o meglio si deve ricordare, aveva una sua centralità nella super promessa in caso di vittoria, per cui “garantiamo 800 euro ai disoccupati single, a salire fino a 1630 euro per le famiglie con genitori senza lavoro e due figli minorenni”, in base all’approvazione del reddito di cittadinanza, che resta la pietra di base del programma economico pentastellato, benché se ne dimezzino i costi i reali che viaggiano sui trenta miliardi di euro. Reddito che si ottiene, nello schema grillino, compilando un modulo ad hoc da presentare agli sportelli comunali. Detto e fatto. Ma in che film?

Che cosa è successo agli sportelli comunali, mettiamo in Puglia, dopo il voto trionfale a Di Maio? Che si sono presentati non pochi cittadini che hanno chiesto, appunto, i salvifici moduli agli allibiti impiegati del Comune per ottenere quel reddito: “Non si tratta di folle oceaniche – ha detto uno di loro – ma soprattutto di giovani ed è comunque certo che tanti altri sono alla ricerca e ci chiedono informazioni”. In una parte d’Italia, peraltro, dove il M5S ha eletto 42 dei 62 parlamentari assegnati a quella regione. Geniale, vero? Una sorta di novello voto di scambio che, del resto, non è un’esclusiva dei pentastellati. Cosicché, dal mandare tutti a quel paese, ovvero il “vaffa” gridato a più non posso, il passaggio alle promesse per il voto il passo era ed è conseguente, fino alla recentissima evocazione, da parte di Luigi Di Maio, di Alcide De Gasperi, simbolo invero inaspettato nel firmamento grillino. E ha un bell’affannarsi a spiegare un assessore di quelle parti che gli sarebbe piaciuto “dire alla gente che il problema della disoccupazione è risolto, solo che i cittadini sono stati sedotti da promesse da spot elettorali per un reddito che non c’è.

E difficilmente ci sarà. Moduli compresi. Restano i “vaffa” e il buon Alcide. Chi si contenta...


di Paolo Pillitteri