Salvini scivola sui dazi

In campagna elettorale talvolta si esagera con le promesse. Tuttavia, è comprensibile che una forza politica, pressata dall’ansia di aumentare i propri consensi, si spinga un po’ fuori dal seminato. Ma la misura della fuga dalla realtà non deve essere eccessiva altrimenti si rischia l’effetto boomerang, cioè di non essere più creduti.

Ora, il centrodestra sta promettendo riforme importanti che potrebbero assestare un colpo decisivo alla riottosità di quel bacino ampio dell’astensione a tornare al voto. Perché l’operazione riesca è fondamentale che la coalizione, in tutte le sue componenti, tenga i piedi ben saldi in terra evitando di spingersi in quei territori infidi in cui le promesse si trasformano in illusioni ottiche. Ne va del risultato finale. In questi giorni Matteo Salvini si scarta dallo sforzo corale e, in uno slancio d’entusiasmo per le recenti misure protezionistiche annunciate dal presidente statunitense Donald Trump, dichiara di volerlo emulare. Il capo della Lega si dice pronto a difendere il “made in Italy” ricorrendo alla misura estrema dell’applicazione di dazi commerciali sulle merci di provenienza extra-Unione europea.

Salvini ha un chiodo fisso che riguarda il comparto dell’agroalimentare. Non ha torto perché non vi è dubbio che la globalizzazione abbia determinato un grave handicap per le merci italiane, vigilatissime in tutta la filiera produttiva, rispetto alle produzioni provenienti dai Paesi del Terzo e Quarto mondo i quali rompono il mercato con prodotti a basso costo ma di pessima qualità. Per bilanciare lo squilibrio che sta costringendo alla chiusura un gran numero di aziende italiane che non reggono la concorrenza sleale Salvini pensa alla misura compensativa dei dazi per ridurre il grado di competitività delle merci provenienti dall’esterno del perimetro dell’Unione. Ma lo può fare? In base ai Trattati europei quest’azione non è più nelle disponibilità dei singoli Stati membri. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, infatti, all’articolo 3 sancisce che l’unione doganale come la politica commerciale comune rientrino nelle competenze esclusive dell’Unione. Ciò significa che Bruxelles e non Roma può adottare misure protezionistiche. Quindi, raccontare agli elettori una storia diversa rischia di minare la credibilità dell’intera offerta politica della coalizione. A meno che non si completi il pensiero. E cioè non si dica chiaramente che la prima cosa che il centrodestra farà, una volta tornato al governo, sarà di recedere dai Trattati sottoscritti.

A lume di naso viene difficile immaginare che l’ala riformatrice della coalizione sia disponibile a seguire la Lega in uno scontro frontale con Bruxelles per tentare un salto nel buio. Come se ne esce? Abbandonati i toni estremistici imposti dalla foga della campagna elettorale, la soluzione più efficace è nella ricostruzione di un peso politico effettivo dell’Italia nell’ambito della compagine europea. Probabilmente la lesione più grave che questi anni di governi di sinistra hanno inflitto al nostro Paese è stata la perdita di autorevolezza nel rapporto con i partner dell’Unione. Mario Monti è stato l’agente dell’establishment eurocratico; Enrico Letta, evanescente; Matteo Renzi uno spaccone, bullo in casa e supino a Bruxelles; Paolo Gentiloni, un gentiluomo gozzaniano: crepuscolare, decadente.

Già avere qualcuno a Palazzo Chigi che possa andare in Europa a dire: “D’ora in avanti si cambia verso e nessuno pensi d’ignorarci” sarebbe un bel passo in avanti. Riguardo alla difesa del “made in Italy”, la strada percorribile è la negoziazione con Bruxelles dell’innalzamento delle verifiche sugli standard qualitativi delle merci importate dai Paesi extra-Unione, da implementare attraverso l’irrigidimento dei controlli doganali in forza delle normative comunitarie vigenti in materia di tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente. Si può e si deve chiedere all’Ue un maggiore impegno nella lotta alla contraffazione delle merci e alla pirateria commerciale. Basterebbero queste immediate misure difensive per assicurare un maggiore equilibrio di mercato. Il ricorso alla revisione della black-list degli odierni 52 beni sui quali gravano i dazi imposti da Bruxelles dovrebbe essere una misura residuale di contenimento degli effetti negativi del dumping sulla libera concorrenza.

Oggi quei dazi incidono per buona parte sui comparti produttivi della chimica e della siderurgia, settori di massimo interesse della Germania. Un eventuale ampliamento della sfera d’applicazione al comparto dell’agroalimentare potrebbe soddisfare le esigenze italiane. Messa così quella che oggi appare come una boutade propagandistica si trasformerebbe in una meditata strategia di governo nella gestione dei rapporti con l’Unione europea. Non è tardi per correggere il tiro e Salvini, come ha dimostrato, ha buona mira ed è lesto di cervello.

Aggiornato il 07 febbraio 2018 alle ore 08:10