Il problema non è (solo) Bellomo

“Tutti i geni, anche Einstein, si sono dovuti difendere dagli attacchi di chi non ne conosceva le idee”. Così parlò Francesco Bellomo, magistrato da poco espulso dal Consiglio di Stato, che nel contratto che sottoponeva alle studentesse si definiva “l’agente superiore” a cui l’aspirante borsista doveva “fedeltà”.

Scritti a parte, bastava vederlo in televisione alle prese con il Vespa nazionale per indurre nella tentazione della schadenfreude anche chi ha sempre considerato il compiacimento malevolo verso le disgrazie del prossimo una pessima dimostrazione del proprio, di valore.

E tuttavia, si deve stare attenti che Bellomo non diventi lo strumento che il Consiglio di Stato, e la magistratura tutta, usano per non finire nel mirino dell’opinione pubblica – già di per sé non troppo ben disposta verso le caste vere o supposte; insomma un capro espiatorio, come da italico costume.

Un timore sgradevole, converrete con me, eppure legittimo, a vedere come quegli stessi che per anni non si erano accorti di niente (Consiglio di Stato, mal contate tre Procure della Repubblica, e perfino il Consiglio Superiore della Magistratura che ha collocato fuori ruolo il pm di Rovigo, Davide Nalin, collaboratore di Bellomo e accusato di aver fatto da mediatore tra lo stesso e una borsista per procurargli “indebiti vantaggi anche di carattere sessuale”) si siano improvvisamente animati di ferma sollecitudine.

Eppure allontanare i sospetti di autodifesa sindacale travestita da pugno duro sarebbe agevole. Basterebbe che la magistratura tutta, amministrativa o ordinaria non fa gran differenza, interrogasse se stessa su un paio di questioni: innanzitutto su un concorso in magistratura che dovrebbe selezionare coloro che hanno le maggiori capacità critiche, di ragionamento e, perché no, di equilibrio, e che invece pare tradizionalmente esaltare uno studio eccessivamente nozionistico. Insomma, se si sottopone a periodiche verifiche psico-attitudinali chi guida gli autobus, nessuno pare doversi offendere se identica cautela si richiede per chi è chiamato a decidere della vita delle persone, magari proprio a cominciare da chi quegli scombiccherati contratti ha sottoscritto e oggi, magari, si ritrova ad amministrar Giustizia.

In secondo luogo, la magistratura – e prima ancora la politica, ma da quelle parti allo stato l’unica preoccupazione pare quella di accaparrarsi un seggio sicuro – dovrebbe interrogarsi sul ruolo e sulla natura delle frequentatissime (e a quel che so molto costose) scuole private di preparazione al concorso in magistratura tenute da magistrati ed ex magistrati, e sulle pretese capacità divinatorie di alcune di esse circa la previsione delle future tracce di esame (è sufficiente farsi un giro sui blog degli aspiranti magistrati per comprendere che questo è il principale criterio di scelta fra le molte).

Altrimenti, pure io che ho sempre pensato che coloro che andavano affermando che i magistrati siano “geneticamente modificati” dicessero delle solenni castronerie, dovrò prendere definitivamente atto che sono solo “corporativamente modificati”, che forse, a ben pensarci, è pure peggio.

Aggiornato il 26 gennaio 2018 alle ore 08:01