Elezioni: nel segno del Cavaliere

Elezioni come richiamo forte per imbonitori - ricordava il nostro direttore - e pure per predicatori. E per di più arroganti. Uno si chiede: è sempre stato così? Anche prima? Cioè nella Prima Repubblica? Domanda fin troppo facile e apparentemente stimolante ma vagamente equivoca, anzi, poco utile. Il cui prodest sarebbe comunque interessante da sviluppare, ma dopo? Figuriamoci il grillismo, formidabile raccoglitore di protestatari più o meno puri, sempre arrabbiati, urlanti, scatenati, ostili a qualsiasi alleanza, gratificati e gratificanti di vaffa a tutto spiano. Ma anche e soprattutto, con l’immarcescibile Luigi Di Maio, costretti a saltare di qua e di là, di dire una cosa la mattina e il suo opposto la sera, un giorno rivoluzionari in un talk-show e l’altro tranquillizzanti in un telegiornale.

Poi, dopo il 4 marzo, che faranno, si chiedono in molti? Dipende dal numero degli eletti in Parlamento e decideranno opportunisticamente, oppositori di tutto e di tutti, propositori di un proprio Esecutivo, pronti a schierarsi in una maggioranza con chi, si vedrà. Già appunto. Certo, per un Beppe Grillo che imperversa c’è un Matteo Salvini che non scherza, non fosse altro che per farsi sentire di più. Cosicché funziona meglio di tutti un Cavaliere che nella misura con la quale ha recuperato tanta saggezza, sta conducendo una campagna dai toni diversi rispetto ai primi due in nome e per conto della governabilità, cioè di un governo che pur non potendo presiedere, ne fisserà le linee e ne guiderà l’impegno nei confronti degli elettori. Facile a dirsi, si capisce, e già l’inquieto leader leghista preannuncia schemi diversi, metti su Euro ed Europa, ma fin a che punto tirerà la corda, se la tirerà davvero? Magari dando l’impressione di una certa quale “invidia “per l’accoglienza festosa per Berlusconi da parte di leader europei come Merkel e Juncker?

Le tasse! Eccoci al grande scontro. Al di là di algoritmi, di flat tax sì e no, di pensioni aumentate, ecc., sta di fatto che il problema del fisco in Italia è diventato una sorta di hic Rhodus hic salta, un tema scottante, una situazione per molti sempre più difficile. E non c’entrano soltanto gli aumenti che non mancano mai, ma anche tante, troppe tasse per dir così “nascoste” di Comuni e Regioni, le migliaia di addizionali, di balzelli, di tributi nuovi in nome del federalismo e del regionalismo formando un pesantissimo corpus di aliquote per imposte che si aggiungono a quelle che si versano per lo Stato centrale e che definiamo “nascoste” proprio perché celate da veli di termini astrusi e di punti complicati, spesso simili a veri e propri rompicapo, nella dichiarazione dei redditi. Senza dimenticare che, come ci rammentava “Il Giorno”, noi contribuenti paghiamo ancora, sotto forma di accise per i carburanti, per la Guerra di Abissinia del 1935 o per la crisi di Suez del 1956 o anche per il disastro del Vajont del 1963 e altri terremoti, emergenze, missioni ecc.. E l’economia, dove la mettiamo? E la governance?

Sentiamo Joseph Sternberg dell’autorevole Wall Street Journal: “Permettetemi di lodare il metodo di governance dell’Italia – ha scritto recentemente – Sì, anche chi scrive è sorpreso da questa frase così come chi la sta leggendo perché il mondo intero sa che il metodo di governance dell’Italia è fatto proprio per non avere un governo”. Curiosa questa osservazione dagli Usa, ma anche un po’ troppo liquidatoria. Ma, aggiunge il Wsj, “i governi fragili e deboli stanno diventando la norma nell’Unione europea dove i leader rieletti come in Gran Bretagna, Paesi Bassi e la stessa Germania arrivano al potere da posizioni elettorali molto fiaccate e meritano questo risultato perché da primi ministri hanno visto ridursi i loro margini parlamentari. Sono solo più bravi degli italiani a fingere il contrario”.

E di Renzi, che si dice? Che il governo del Partito Democratico sotto la guida dell’ex premier Matteo Renzi, “ha proseguito con modeste riforme, anche se non nella misura in cui l’economia aveva bisogno. Grazie alla crescita trainata dagli Usa e dagli altri Paesi europei l’economia in Italia sta tornando a crescere, anche se non quanto dovrebbe. E comunque il genio italiano è nell’essere onesti nel rappresentare ciò che gli elettori faranno o non faranno”.

Così il quotidiano americano, che è comunque importante e molto seguito negli ambienti che contano anche perché la finanza internazionale ne assume i giudizi. E nei geni italiani noi ci mettiamo, al primo posto, un Berlusconi che meglio di tutti rappresenta ciò che gli elettori di certo faranno il 4 marzo. Alla faccia di tanti imbonitori e predicatori. Anche arroganti.

Aggiornato il 25 gennaio 2018 alle ore 08:14