Omicidio Regeni: gli inquirenti battono la pista inglese

È un gran peccato che il circuito mediatico italiano sia preso totalmente dai “sussurri e grida” di bergmaniana memoria dell’incipiente campagna elettorale, al punto da confinare ai margini della comunicazione notizie altrettanto se non più importanti. Non dovrebbe funzionare così. Ma ciò che sfugge, in modo più o meno colpevole, agli altri non è detto che sfugga a noi.

Dunque, la notizia del giorno non è l’ultima uscita polemica di Matteo Renzi sul milione di posti di lavoro che avrebbe creato ma dei quali sono stati in pochi ad accorgersene ma quella dell’interrogatorio a Cambridge della professoressa Maha Abdel-Rahman, sentita dagli inquirenti italiani come persona informata sui fatti nell’ambito dell’indagine sull’assassinio, in Egitto, del ricercatore italiano Giulio Regeni.

La cattedratica della prestigiosa università britannica è stata la tutor del povero Regeni. Secondo le regole, avrebbe dovuto seguirlo e consigliarlo nella realizzazione del lavoro di ricerca sul campo. Soprattutto, Maha Abdel-Rahman è colei che avrebbe dovuto tenere al riparo il giovane italiano dai rischi che quella specifica attività di studio comportava. Lei, studiosa di origini egiziane con manifeste simpatie per l’organizzazione politica dei “Fratelli musulmani” nemica giurata dell’attuale presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi, avrebbe dovuto monitorare costantemente le mosse del suo allievo impedendogli di andare allo sbaraglio in un contesto politico-istituzionale maledettamente scivoloso. Evidentemente tutto ciò non è accaduto visti gli esiti tragici della missione.

Giulio Regeni è stato barbaramente ucciso, dopo essere stato torturato presumibilmente da agenti dell’apparato di sicurezza dello Stato egiziano, il 25 gennaio 2016. E solo adesso, trascorsi due anni dai drammatici eventi, il pubblico ministero italiano ha potuto sentire la versione di una  protagonista, finora reticente, di quello scenario nel quale è maturata e portata a compimento l’uccisione di Regeni. Due anni ci sono voluti perché cadesse il muro di accademica omertà che, nella patria della giustizia e dell’habeas corpus, ha coperto la docente Maha Abdel-Rahman. Che sia stata soltanto solidarietà corporativa o c’è qualcos’altro d’inconfessabile? Alla fine del tira-e-molla con le autorità inglesi, a porre le domande alla docente si è recato il pm Sergio Colaiocco, accompagnato da funzionari del Ros e dello Sco. Si è trattato di un momento importante, anche se tardivo, per il corso delle indagini, non tanto per ciò che la docente ha dichiarato rovesciando interamente sul povero Giulio la responsabilità della scelta di recarsi in Egitto a fare, sua sponte, la delicatissima ricerca sui sindacati degli ambulanti, quanto per quello che gli inquirenti hanno potuto acquisire durante la perquisizione effettuata nell’abitazione e nello studio della professoressa. L’auspicio è che pc, hard disk, cellulare e pendrive sequestrati forniscano elementi cognitivi sostanziali per il prosieguo dell’inchiesta, anche se non c’è d’attendersi miracoli visto che nei due anni trascorsi la docente avrebbe avuto tutto il tempo per “ripulire” gli archivi distruggendo documenti o corrispondenza che potessero coinvolgerla direttamente nella vicenda. Ma, come si dice dalle nostre parti, piuttosto che niente meglio piuttosto. Tocca agli inquirenti italiani di spremere come un limone gli strumenti di lavoro acquisiti per cavarne quante più informazioni è possibile.

Per quanto ci riguarda, non smettiamo di pensare che l’autorevole professoressa sappia più di quanto ammetta. L’esistenza dalla pista inglese nell’affaire Regeni è stata una battaglia del nostro giornale che vi ha dedicato particolare attenzione. A cominciare dall’autorevole intervento del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analysis) il quale, nei suoi articoli, ha insistito perché le autorità italiane s’impegnassero maggiormente nell’incalzare gli interlocutori d’Oltremanica. Oggi che, dopo un lungo silenzio, la signora Maha Abdel-Rahman è stata costretta a dire qualcosa, alziamo il tiro delle richieste perché siamo convinti che non ci si debba fermare a Cambridge, ma l’indagine debba approdare sulle rive del Tamigi. Chi erano i veri utilizzatori finali delle informazioni raccolte sul campo a scopo di studio da Giulio Regeni? Si è trattato soltanto, da parte britannica, di stimolare l’anelito del giovane alla conoscenza o c’è sotto dell’altro di cui lo stesso Regeni non aveva contezza? Qualcuno all’epoca del ritrovamento del cadavere ipotizzò un ruolo dei Servizi segreti inglesi. Erano forse loro i destinatari ultimi del lavoro? Qui non servono illazioni o ricostruzioni di fantasia. Tuttavia, se alcuni elementi indiziari conducono al MI6 (Military Intelligence, Sezione 6), è bene che si faccia chiarezza fino in fondo. La storia italiana del secondo Novecento è stata intorbidita da troppi misteri irrisolti. Non facciamo che anche la tragica sorte di Giulio Regeni diventi uno di quelli.

Aggiornato il 12 gennaio 2018 alle ore 08:08