Berlusconi e la complicata antropologia dei berlusconiani

La boutade di Silvio Berlusconi sulla candidatura di una figura prestigiosa qual è quella del generale Leonardo Gallitelli alla guida di un governo di centrodestra ha scatenato la reazione stizzita di Matteo Salvini. E le controreazioni altrettanto stizzite di alcuni supporters berlusconiani impermeabili all’idea che i tempi sono cambiati e ciò che poteva valere negli anni Novanta, con la Lega localista di Umberto Bossi, oggi non vale più. Berlusconi lo ha compreso. Ma lo hanno capito anche i berlusconiani? Non del tutto, e non tutti.

Nel centrodestra l’universo forzista non è un monolite granitico, ma un insieme fluido di materia variegata. Provando una scansione delle sensibilità berlusconiane scosse dal riaffiorare della tensione all’interno della coalizione ne rileviamo tre, come più significative. Per comodità di sintesi distinguiamo queste categorie in: sognatori, velleitari e furbi.

La prima categoria: i sognatori. Sono i più sinceri e appassionati sostenitori del “meno male che Silvio c’è”, ma anche quelli più lontani dalla realtà. Costoro vorrebbero che la forza trainante della personalità del vecchio leone di Arcore bastasse da sola a trascinare alla vittoria non il centrodestra nella versione ampliata che conosciamo ma una compagine depurata dell’ala oltranzista rappresentata dalla Lega e da Fratelli d’Italia. La pretesa non sarebbe di per sé peregrina perché sarebbe ispirata a uno schema diffuso nel resto d’Europa dove la destra moderata è concorrente e non alleata della destra radicale. Tuttavia, tale paradigma, se applicato, smentirebbe clamorosamente il genio del leader che ha consacrato la sua fama di federatore vincente proprio alla costruzione di quell’“anomalia” che ha restituito all’Italia, per la prima e unica volta nella sua storia repubblicana, una solida destra di governo.

La seconda categoria: i velleitari. Costoro, a differenza, dei primi non negano il dato concreto della necessità di un’alleanza con le forze radicali per conseguire il successo elettorale. Il loro auspicio, però, è che, una volta conseguito il risultato, Berlusconi marginalizzi i suoi partner nella realizzazione del programma politico. Oltre, possa bellamente espungere la loro partecipazione dall’attuazione della linea politica. Il presupposto sul quale poggia tale pretesa è quanto meno bizzarro: vanno bene i loro voti, ma non le loro idee e i loro modi, meglio allora che si occupi di governare il Paese chi ha “le physique du rôle” giusto per farlo. È una posizione velleitaria perché si astrae dalla realtà del consenso del corpo elettorale. Se tanti votano per un partito che sostiene scelte radicali vuol dire che le condividono e, verosimilmente, auspicano di vederle realizzate dalla forza politica a cui hanno affidato il mandato a rappresentarli. Perché mai dovrebbero accettare il ruolo di semplici portatori d’acqua in uno scenario nel quale ai loro eletti sarebbe precluso nella sostanza l’esercizio condiviso dell’azione di governo?

La terza categoria: i furbi. Sono i più perniciosi. Ipotizzano, senza farne mistero, che il centrodestra non raggiunga la maggioranza per varare un governo autosufficiente. In quel caso, si augurano che un risultato comunque soddisfacente di Forza Italia spinga Berlusconi a offrirsi da stampella per un governo del centrosinistra renziano, in nome dell’abusato “bene del Paese”. Quindi, illudere gli elettori con una finta coalizione di centrodestra fino al giorno del voto e poi un’inversione a 180 gradi di Forza Italia in direzione di una “Große Koalition” in stile tedesco, con conseguente rottura con i compagni di viaggio.

Tra le tre enumerate, la categoria dei furbi è quella che più deve preoccupare Berlusconi. I “furbi” fingono di volere il suo ritorno ma, nei fatti, lo esorcizzano. Costoro snobbano platealmente l’istanza degli elettori del centrodestra che non vogliono commistioni con gli schieramenti avversari e che si dichiarano pronti a punire quelle forze che sul punto dirimente della coerenza assumano comportamenti ambigui e ondivaghi. Il solo sospetto che dopo il voto Forza Italia possa tornare al Nazareno per stringere patti con il Partito Democratico le fa perdere consensi alla velocità della luce. Berlusconi sta riuscendo nella titanica impresa di risalire nei sondaggi grazie al suo esplicito diniego su possibili future intese con il nemico. Metterne in discussione la parola insinuando che il patto d’acciaio con gli alleati sia solo teatrino pre-elettorale potrebbe rivelarsi esiziale ai fini dell’opera di recupero che è in corso.

Alle Politiche del 2008, per la Camera dei deputati il Popolo delle Libertà raccolse 13.629.464 voti. Alle elezioni politiche del 2013 le preferenze scesero a 7 milioni 332mila 134. Alle Europee del 2014, in piena stagione del “Nazareno”, Forza Italia, abbandonato il marchio del Popolo della Libertà, ottenne 4.605.331 voti. Se in soli sei anni il principale partito del centrodestra ha perso oltre 9 milioni di elettori qualcosa vorrà pur dire. E quando Berlusconi ripete ossessivamente che vuole impegnarsi a riportare alle urne le persone disgustate dalla politica, si riferisce a un tipo generico di elettore o forse non dice per carità di patria, come vorrebbe, ciò che andrebbe detto? Che per quanto siano molteplici le cause di una perdita di consenso tanto rilevante, certamente quella della tenuta del quadro delle alleanze è la principale? Per fortuna Berlusconi non è la stessa cosa dei suoi interessati supporters che confondono i desideri personali e di gruppo con il bene del centrodestra. E del Paese. Allora, Silvio, adelante con juicio.

Aggiornato il 30 novembre 2017 alle ore 22:25