Politica, Rai e dintorni

No, non è la Rai, come si cantava e ironizzava una volta prendendo in giro, chi più chi meno, il servizio pubblico radiotelevisivo. Correvano altri tempi, ça va sans dire, nel senso che c’era meno concorrenza e, probabilmente, anche meno politica sulle reti statali. Intendiamoci, la Polis è sempre e ovunque, è ubiqua né più né meno come la vita che scorre. E chi è della Polis, chi la rappresenta, chi la impersona sono coloro i quali vengono scelti, votati, eletti dalla gente, dal popolo, da noi.

Ne deriva che, almeno a naso, chi della tivù, diciamo della Rai, è il temporaneo conduttore; colui che ne impersona, a seconda del programma e o rete, l’immagine, l’importanza e la qualità è, per l’appunto, chi conduce la trasmissione. Nel nostro caso la domenicale e in prima serata “Che tempo che fa” con l’arcinoto e professionalmente al top Fabio Fazio. Ne parliamo non per gusto di polemica, che pure facciamo (di certo piccina piccina rispetto al grande soggetto, anzi ai due di soggetti), ma per una sorta di pizzicore che ci ha preso man mano che l’incontro con Luigi Di Maio - questo l’altro soggetto - procedeva e il suo conducente Fazio assumeva con sempre maggiore incedere quel personalissimo, inconfondibile tono intermedio, una specie di moderato cantabile bonne à tout faire per dirla, cantando, col grande Charles Aznavour.

Sicché, a un certo punto, la sempre interessante puntata con la “stanza politica” dedicata al vice-leader-massimo pentastellato, subiva una trasformazione quasi impercettibile, sottile ma incalzante, una modificazione, una specie di torsione ulteriore nel cosiddetto buonismo che per Fazio è, da sempre, qualcosa di più di una tendenza, ma una vera e propria professione. Il pizzicore era tanto più avvertibile quanto meno l’incedere faziano si avventava (ricordate invece il Floris e i tre grandi giornalisti all’attacco di Renzi su La7 qualche sera prima?) sul candidato grillino a Premier ma, al contrario, pareva quasi invitarlo allo sposalizio con la propria moderazione, con la caratteristica più autentica di quel moderato cantabile assurto a regola delle cose della politica.

Un Fazio che rassicura, tranquillizza, mette pace e buonumore, allargando quasi le braccia a un furbino Di Maio che, a sua volta, conferma il nuovo clima politico di quiete dopo la tempesta, e dunque funzionale al nuovo contesto di vigilia delle elezioni politiche. Si è trattato di un confronto sui generis, cioè senza altre presenze, senza alcun contraddittorio, senza domande indiscrete o per lo meno ficcanti, sol che si pensi che quello era lo stesso Di Maio che, qualche giorno prima, aveva rinunciato platealmente (era scappato, dicono i più cattivi) a un confronto col segretario del Partito Democratico in quanto battuto, superato, fuori causa, insomma “delegittimato”. Da lui, ovviamente. E più Fazio, quasi autoridotto a megafono, rassicurava; e più Di Maio metteva pace, moderazione, sicurezza, tranquillità. Due tranquillanti, per dire. E meno male che il Cavaliere è ritornato. Alla grande.

Aggiornato il 13 novembre 2017 alle ore 21:17