Aggressione di Ostia: la vita in diretta

Occorreva che un discutibile personaggio quale Roberto Spada, imparentato con esponenti dell’omonimo clan malavitoso attivo nella periferia romana, desse una capocciata a un giornalista della Rai per accorgersi che esiste un problema di violenza diffusa tra gli strati emarginati della nostra società?

Daniele Piervincenzi, vittima della brutale aggressione merita la massima solidarietà e un sentito ringraziamento. Perché, involontariamente, si è reso “testimonial” del quotidiano di tanta brava gente che non fa notizia. La violenza di Roberto Spada ha molti significati. Certamente mostra una “competenza” padroneggiata da picchiatore professionista. Freddo, fulmineo, disarmante Spada, cogliendo l’interlocutore di sorpresa, offre dimostrazione pratica di cosa sia l’approccio delinquenziale al confronto con il prossimo.

Sono giorni che i media dedicano paginate “all’insopportabile gesto”. Fanno bene e sarebbero perfino credibili se non fosse per il fatto che la macchina della denuncia non funziona sempre allo stesso modo. Se non ha il giusto carburante neanche si mette in moto. Una domanda ai colleghi. Dov’eravate, dove siete, tutte le volte che non un associato alla categoria ma un povero cristo qualsiasi si trova a fare i conti con lazzaroni del tipo di quello visto all’opera ad Ostia? Da Roma in giù, rimediare una testata e qualche bastonata è il minimo sindacale per chi non si affretta a pagare il pizzo al clan locale, a versare alla scadenza la rata a strozzo al “cravattaro” che gli ha prestato soldi, per l’abitante di una casa popolare che si rifiuta di lasciarla per fare posto a qualcun altro gradito al boss di zona. Solitamente finisce peggio di un naso rotto. È però ingiusto prendersela con i poveracci che non denunciano. Loro sono vittime tre volte. Prima della criminalità che li minaccia; poi dello Stato che fa poco per difenderli; in ultimo dei media politicamente corretti che gli impartiscono lezioni morali a buon mercato sul dovere di farsi campioni di legalità. Chiacchiere! Avete visto che succede a un personaggio pubblico che cerca di fare il suo lavoro. Pensate davvero che intimoriti padri di famiglia possano farcela da soli contro chi spacca ossa e crani con la medesima disinvoltura con cui schiaccia le noci?

Poi c’è la politica che riesce, in certi casi, a essere disgustosa oltre misura. Piuttosto che fare fronte comune per raschiare alla radice il terreno nel quale cresce e si sviluppa l’Antistato, i partiti fanno a gara a scaricarsi addosso la responsabilità dell’accaduto. Sulla vicenda di Ostia abbiamo assistito a un balletto indecente. È vero che si è in piena campagna di ballottaggio per la presidenza della Municipalità, ma sembra il gioco del cerino: scemo chi resta con la fiammella in mano. I Cinque Stelle accusano Fratelli d’Italia di essere vicina a Casapound e di riflesso, in base a una sordida equazione che neanche i ragazzi di estrema destra meritano, di stare dalla parte del clan criminale degli Spada. Giorgia Meloni, stizzita ribatte: amici degli Spada siete voi grillini, ci sono le prove.

Il Partito Democratico finge di non sapere neppure dove si trovi Ostia per far perdere il ricordo della pessima prova data negli anni della sua amministrazione di quel Municipio di Roma. Roberto Spada è stato fermato dai carabinieri su disposizione della Procura intervenuta sotto la pressione del clamore mediatico. Sarà dunque la giustizia a dire se e per quale reato il signor Spada dovrà essere giudicato. Nessuno però ci ha spiegato cosa lui ci facesse negli improbabili panni di “educatore” della gioventù del suo quartiere. L’aggressione, infatti, è avvenuta davanti alla palestra di boxe di cui è titolare. Dentro c’erano dei bambini. Non si tratta di un’attività clandestina ma del regolare funzionamento di un’associazione iscritta alla Federazione Pugilistica Italiana (Fpi), aderente al Coni. Il fatto che dovrebbe sconvolgere forse più dell’episodio della testata è che a un personaggio ambiguo come Roberto Spada sia consentito insegnare l’antica e nobile arte del pugilato che si nutre di altissimi valori morali e pedagogici. La boxe è roba da gentiluomini, non da lacchè. Cosa hanno imparato i ragazzini che la frequentano dal bell’esempio offerto dal “maestro”? Che i pugni servono a mettere paura e a imporre la legge del più forte? E se questo è stato vero finora è lecito domandarsi: il Coni dov’era? I suoi massimi dirigenti solo adesso si accorgono che in una parte degradata d’Italia c’è un posto dove, sotto le insegne del Comitato Olimpico Nazionale, non s’insegna il coraggio e la lealtà della competizione sportiva ma la violenza e il terrore? E per una realtà svelata, quante altre sentine criminali ci sono in giro per l’Italia che si fregiano del marchio Coni? Ci piacerebbe saperlo.

Aggiornato il 10 novembre 2017 alle ore 18:11