Berlusconi: veni, vidi, vici

Ora tutti dicono: “ma che bravo Silvio Berlusconi”. Friedrich Nietzsche sarebbe orgoglioso di lui per aver reso reale la sua più importante intuizione: l’eterno ritorno dell’Uguale. Tuttavia i laudatori, vecchi e nuovi, non spiegano cos’è che faccia di Berlusconi politico, oltre ai risultati, un personaggio una spanna sopra gli altri.

Allora ci proviamo noi prendendo spunto dal recente successo siciliano. Dopo la proclamazione di Musumeci vincitore, il “Cavaliere” lancia , rivoluzionandola, una riscrittura dello scenario politico. Nel corso della legislatura che sta tramontando Berlusconi ha insistito sulla fine del bipolarismo e sulla nascita, in suo luogo, di un tripolarismo imposto dalla presenza in campo dei grillini. Seguendo questa interpretazione della realtà e per riconnettere la rappresentanza politica al sentire dell’elettorato ha dato l’assenso per l’approvazione di una legge elettorale la quale cogliesse la novità.

Ora, con una di quelle strambate che solo a lui riescono, vira in direzione di un ritorno alla configurazione bipolare del sistema politico. Con una significativa differenza. Al posto del tradizionale assetto sinistra-destra, il bipolarismo che si ricompone prevede, per Berlusconi, un nuovo attore insieme al centrodestra: i Cinque Stelle. La scelta di sostituire Luigi Di Maio a Renzi nell’immaginario collettivo come avversario diretto del centrodestra potrebbe, a prima vista, sembrare azzardata. Ma non lo è.

In effetti, il risultato elettorale dei Cinque Stelle in Sicilia, di là dalla propaganda, è negativo. La lista in appoggio al candidato Gianluca Cancelleri si è fermata al 26,7 per cento con 513.359 voti validi. Nel 2013, anno dell’exploit grillino, nelle due circoscrizioni siciliane per l’elezione della Camera dei deputati i Cinque Stelle avevano raccolto 842.619 voti per un consenso pari al 33,6 per cento. Benché regionali e parlamentari siano storie elettorali diverse è del tutto evidente che un calo di fiducia per Grillo e i suoi ci sia stato. Eppure, la Sicilia è considerata il granaio elettorale dei Cinque Stelle, atteso ché in nessun’altra regione hanno sommato numeri altrettanto importanti. Basti pensare al Nord dove il “Movimento” si può dire che non riesca a toccare palla. E a Roma, dove i Cinque Stelle avevano ricevuto con Virginia Raggi una straordinaria apertura di credito dalla cittadinanza, sono in caduta libera. Lo scenario di Ostia che rinnova la guida della municipalità in questi giorni lo attesta. Giacché i numeri sono testardi, perché mai Berlusconi che sa fare bene di conto propone una legittimazione grillina contra veritatem? Qui il colpo di genio.

Accreditando i Cinque Stelle come avversario da battere alle politiche di primavera, il “Cavaliere” di fatto scardina la pretesa egemonica renziana. Che poi è un ribaltamento, in danno al suo ideatore fiorentino, della strategia di svuotamento del blocco sociale di riferimento tradizionale di Forza Italia. Agli albori della sua ascesa nazionale Matteo Renzi aveva dichiarato di voler portare il Partito Democratico a conquistare la parte moderata allocata nel centrodestra. Anche la stipula del Patto del Nazareno poteva leggersi, leninisticamente, in questa chiave: un accordo temporaneo con il nemico per prosciugarne in prospettiva le fonti di consenso. Berlusconi ha galleggiato, facendosi come ama dire lui concavo e convesso a seconda delle circostanze, per superare la fase congiunturale negativa nella certezza che alla lunga il piano strategico renziano sarebbe fallito. Come sta accadendo. Renzi ha commesso l’errore di attribuire eccessiva mobilità d’opinione all’elettorato forzista. Valutando che quel blocco sociale composto prevalentemente di ceti medi tradizionali avesse più a cuore il portafoglio e assai meno l’ideale, ha creduto agevole l’intercambiabilità della rappresentanza da destra a sinistra. Invece, quel medesimo bacino ha dimostrato di non avere alcuna attitudine alla mobilità preferendo, in alternativa, rifugiarsi nell’astensionismo. Esaurita la spinta reziana che, dopo il mancato sfondamento a destra è a corto di argomenti, Berlusconi comincia a fare la sua mossa che si preannuncia uguale e contraria alla strategia d’attacco innescata da Renzi. Legittima lo spauracchio Di Maio come avversario da battere e chiama tutti, anche quelli del ceto medio nel frattempo confluiti nel centrosinistra, al voto utile.

Si obietterà: ma se non è riuscito a Renzi lo sfondamento a destra perché, all’inverso, dovrebbe il “Cavaliere” conquistare una porzione del campo avverso? La risposta è nella composizione sociale dell’elettorato renziano. Se la battaglia è combattuta all’interno del blocco dei garantiti dagli effetti della crisi globale, Berlusconi punterà a convincere quell’elettorato che la rivoluzione che lui promette non sarà fatta a spese delle poche certezze che il centrosinistra negli anni di governo ha provveduto ad assicurargli. Non esiste un ancoraggio valoriale del ceto medio italiano nell’architettura complessiva dell’ideologia progressista. Ecco perché quei voti possono spostarsi con una maggiore fluidità rispetto a quelli dell’elettorato di destra. Inoltre, Berlusconi coglie il segno del mutamento dei tempi nel contesto europeo.

Negli anni della “Große Koalition” una manovra aggressiva del genere non gli sarebbe stata consentita. La signora Angela Merkel, impegnata a sostenere l’accordo con la socialdemocrazia del Pse, si sarebbe messa di traverso. Come, per altri versi, è accaduto. Oggi quegli impegni non esistono più e il popolarismo europeo è sotto l’attacco delle forze emergenti della protesta e del populismo. La scelta di Berlusconi di incoronare Di Maio come unico competitor serve anche a mettere paura alla lady di ferro teutonica che teme come la peste un’affermazione in Italia delle forze antisistema. Se non è un genio il vecchio leone di Arcore, bisognerà rivedere il dizionario della lingua italiana.

Aggiornato il 08 novembre 2017 alle ore 18:54