Scuola oggi: non studiare e non lavorare

L’ora et labora è meglio lasciarlo da parte, anche se il motto del monachesimo del 1200 e passa è stato per dir così abbreviato, forse per comporre una facile rima.

Ma diciamolo nel suo completo fascino, come ricordava l’immortale Isidoro di Siviglia: “Ora, lege et labora!” ammonendo che il servo di Dio deve incessantemente pregare, leggere e lavorare. Così ammoniti, guardiamo a quanto capita nelle nostre scuole quasi mille anni dopo, immaginatevi un po’, la massima cistercense non soltanto è abbreviata - figuriamoci poi con quell’invito a leggere, nelle scuole, poi... - ma seppure semplificata per la rima non è affatto seguita, al di là della circostanza che del latinorum si stanno perdendo le tracce scolastiche e non lo si capisce neppure nelle sue millenarie citazioni.

Questa introduzione un po’ stiracchiata ci serve tuttavia a entrare nel pieno di una faccenda scolastica che la modernità lessicale ha semplificato, se ben ricordiamo, come “alternanza scuola-lavoro”. Ora, non si vuole qui riandare alle stantie polemiche d’antan, fra moderni e passatisti, fra nuovo e vecchio, fra passato e presente su cui, va pur detto chiaramente, è caduta troppa polvere. No, il punto è che le recentissime manifestazioni del mondo scolastico, ovviamente di piazza, per concorrere al caos grillino e rigettare quel comparto docenti-studenti nella bella confusione, lungi dal porre sul tavolo antagonista, insieme alla protesta, una relativa proposta concreta e utile a chi insegna e a chi studia, ha gettato nello sconforto sia le famiglie che, soprattutto, quell’altro mondo parallelo ma interno alla scuola in cui, fino a prova contraria, vale il motto, non cistercense ma più terra terra, che non soltanto uno più sa più vale, ma il suo sapere conquistato nelle aule è tanto più gradito - e ben pagato - nel mondo che lo attende quanto più chi lo educa è preparato e aggiornato al punto da convincerlo che l’alternanza in questione non c’entra con un’esperienza professionale sic et simpliciter, non si riferisce all’apprendistato o al tirocinio, bensì ha la funzione di inserire lo studente di scuola secondaria, non avendo costui un’idea compiuta del suo futuro, in un’organizzazione del lavoro dotata di una sua precisa struttura “ordine personale, orari, tempi, relazioni con i colleghi e con la clientela, rapporti gerarchici”.

L’osservazione di Giuliano Cazzola è utile anche e soprattutto perché spiega chiaramente i termini di una questione che ci ha fatto assistere ad una reazione piazzaiola nella quale, si badi bene, insieme a un prevedibile “No” urlato degli studenti, si è aggiunto un secco e pure vociante rifiuto dei loro insegnanti per qualsiasi tipo di valutazione oltre alla pretesa di essere comunque di ruolo nell’istituto scolastico più comodo per non sentirsi, come si è sentito dire, “deportati”. E la vicenda della McDonald’s, come la mettiamo, anzi che cosa ci insegna? L’anno scorso era stata sottoscritto dal Miur un certo numero di convenzioni con 26 imprese per circa trentamila percorsi di alternanza (rieccola!), dei quali circa diecimila erano con la non precisamente amata (qui da noi, ma non da tutti, per fortuna) multinazionale McDonald’s. Apriti cielo. Si è scatenata un’offensiva di indignazioni varie fra coloro i quali non ritengono né formativo e, figuriamoci, decoroso, quel lavoro di “fare i panini e friggere le patatine”.

Manco si trattasse di squartare suini o decapitare bufali. E il bello è che un mamma - che probabilmente ignora gli scopi dell’apprendere per tempo e, specialmente, con esperienze ripetute e diverse, è una premessa assolutamente necessaria per accostarsi e fruirne, al mercato del lavoro - ebbene questa mamma d’Italia ha polemicamente dichiarato di provvedere lei stessa a insegnare al figlio come “friggere le patatine”. Bel contributo alla cura della piaga disoccupazione!

Aggiornato il 17 ottobre 2017 alle ore 20:29