L’insostenibile leggerezza del doppio mandato

Luigi Di Maio, sottoposto nel salotto di Giovanni Floris a una lunga intervista da parte di una selva di giornalisti, alcuni dei quali esprimendo una certa qual velata simpatia per lo pseudo capo politico dei grillini, si è trovato in un evidente imbarazzo di fronte a una delle questioni di sostanza che da sempre costituisce un elemento critico all’interno del Movimento Cinque Stelle: il limite del doppio mandato elettivo.

Una demagogica norma interna, al pari di tante altre, che è stata senz’altro introdotta con lo scopo di rafforzare presso l’opinione pubblica l’immagine di un non-partito nato con la presunzione di rappresentare l’intera platea dei cittadini comuni e i quali, proprio per questo, sarebbero tendenzialmente ostili a ogni forma di professionalizzazione della politica.

Tutto ciò, partendo dal presupposto grillesco dell’uno vale uno, renderebbe assolutamente intercambiabili i cosiddetti portavoce del M5S, in quanto diretta e onesta emanazione della medesima cittadinanza. Da qui la necessità, onde evitare il rischio di corruttele e di derive partitocratiche, di porre un rigido limite alla permanenza di questi ultimi nei palazzi del potere. Limite il quale, occorre sottolinearlo, non vale per il garante Beppe Grillo e i suoi sodali della Casaleggio Associati che, com’è arcinoto, controllano l’intera vita politica del Movimento rimanendo sullo sfondo.

Ora, avvicinandosi le elezioni parlamentari, in cui per molti eventuali rieletti pentastellati dovrebbe essere l’ultimo giro di valzer al ballo dei miracolati politici, si pone per i veri capi del Movimento una questione veramente amletica: ricandidare gran parte dei parlamentari uscenti con la solita farsa delle primarie virtuali, oppure farne strage come Ulisse con i Proci rinnovando quasi in blocco, sempre con l’escamotage degli anonimi clic, una rappresentanza divenuta improvvisamente troppo ingombrante? 

Perché vorrei ricordare a Luigi Di Maio, il quale nel corso della succitata intervista ha comunque ribadito la scelta di mantenere il vincolo del doppio mandato, che quasi per magia tutti i grillini rieletti per la seconda volta si trasformerebbero in potenziali cani sciolti pronti a seguire il miglior offerente sulla strada delle poltrone e di un possibile allungamento della loro esistenza parlamentare.

Da questo punto di vista, una legge non scritta della politica italiota ci dice che il tanto decantato interesse dei cittadini comuni, anche per gli onesti a Cinque Stelle, finisce sempre laddove comincia quello della propria bottega personale. Anche gli onesti e integerrimi cittadini che si fanno Stato, come spesso ripete Alessandro Di Battista, grillino dall’anima più popolare rispetto al saccentello candidato premier, tengono famiglia.

Aggiornato il 12 ottobre 2017 alle ore 21:59