Pisapia, D’Alema, Renzi, Minniti: il resto mancia

Incontrarsi e dirsi addio? Macché! Promuovere un qualcosa di nuovo? Ma in quale film! Mettere in piedi un progetto, ma che sia, intendiamoci, politico? Ma quando mai! Non sembrino le nostre una noiosa sequela di geremiadi a proposito dei movimenti interni alla nuova e vecchia politica. Semmai, a voler essere buoni, si tratta di cose fatte e strafatte secondo il copione di quel déjà-vu à gauche che da sempre si muove dentro quel settore della politica.

Che Giuliano Pisapia si sia messo in testa di comporre un quadro abbastanza omogeneo nel bailamme seguito alla scissione dentro il Partito Democratico, non soltanto è legittimo ma è persino lodevole se non fosse che le basi di questo disegno sono di una fragilità (voluta) che non solo o non tanto rischia di fare flop ma indica come un dito impietoso una confusione che finisce con l’accomunare in un ensemble indigesto una fetta consistente del panorama politico, coinvolgendo lo stesso Matteo Renzi.

Intanto, la scissione di Pier Luigi Bersani e compagni. Qui sta primeggiando, e non poteva non essere che così, la figura di Massimo D’Alema che è, di fatto, la punta di diamante di quell’ensemble, ma non finalizzata a un disegno innovativo, a cose buone, ma a un’idiosincrasia anti-renziana - non vogliamo essere cattivi - che produce cose vecchie. Una delle tante scissioni a sinistra, sempre a voler essere buoni, quella di cui sopra, ma anche e soprattutto il segno di quel passato che non passa e che nella nostrana izquierda ha sigillato fatalmente questi ultimi cento anni e che sembrava, con la scomparsa dei socialisti, arrestarsi definitivamente. E invece quel passato che non passa riconferma la sua sigla politico-storica proprio con la sua ripetitività ai limiti dell’ossessione nella misura in cui le ragioni delle scissioni a sinistra e verso sinistra toccano i medesimi temi fra cui primeggia quel pas d’ennemis à gauche che è stato sempre fatale per i socialisti - Pietro Nenni docet, ma non solo - e che sembra suonare la medesima campana per Bersani, D’Alema e compagnia.

Che poi D’Alema non sopporti Renzi fa un po’ di colore, ma su un quadro che sembra invece chiaro proprio nel suo schematismo. Lo schema attiene sia al concetto stesso di governo-governabilità, che comporta assunzione di scelte non sempre gradite alla gente, sia al rapporto con l’opposizione di centrodestra, cioè con Silvio Berlusconi che è la cosiddetta pecora nera per molti compagni elevandola a simbolo di un non possumus dai risvolti persino etici e utili a beghe e scissioni interne da un lato e, dall’altro, a mascherare l’obiettivo di fondo (questo sì, politico) di strutturare un’opposizione che ripudia un riformismo possibile dietro la scusa di un moralismo d’accatto in favore di un neomassimalismo funzionale a quell’unità delle sinistre in vista delle elezioni sui cui risultati i sorrisi non nascosti del centrodestra la dicono lunga.

Non solo, ma dal bailamme sinistrorso sta ora emergendo quel ministro Marco Minniti che non sembra affatto intimidito e tantomeno intimorito dai disegni bersaniani, ma esprime una forza per dir così tranquilla e ispirata al concetto di responsabilità, e (potrà) diventerà insieme a Paolo Gentiloni un’ipotesi politica più credibile rispetto a quella di Matteo Renzi. Mentre lo spauracchio ideologico sventolato dai novelli unionisti sta avendo un certo effetto sullo stesso Matteo, che s’è affrettato a rassicurarli di non ritenerli suoi nemici e facendo finta di dimenticare che sono sempre gli stessi che hanno fatto lo strappo nel Pd in odio politico a lui e con lo scopo di chiudere ogni apertura, anche la più estemporanea, al sempre più “odiato” (politicamente) Cavaliere.

Sul tutto aleggia la non piena e convinta adesione ai dettati di quella che una volta si chiamava socialdemocrazia che la baldanza renziana ha sempre tenuto sottotono considerata la sua matrice niente affatto socialista e che a volte lo illude e lo spinge a correre, ma a volte, come non è improbabile in questo caso con elezioni abbastanza vicine, gli destinerà non poche delusioni. E Pisapia? Non ne invidiamo il tour de force. Intorno a che, poi?

Aggiornato il 09 ottobre 2017 alle ore 20:42