C’è referendum e referendum

L’autolesionismo nazionale degli italiani anti-italiani non fa vedere la differenza tra il referendum catalano e quello lombardo-veneto. I primo rivolto a spezzare uno Stato unitario, il secondo a rinforzarlo ampliando le autonomie amministrative delle regioni settentrionali.

Chi si lamenta perché in Italia non si sono mai fatte rivoluzioni dovrebbe rendersi conto che l’assenza di sangue e di violenza di piazza non è un demerito storico, ma la prova di una capacità superiore di gestire anche le vicende politiche e sociali più difficili e drammatiche con la giusta dose di raziocinio selezionata in tremila anni di civiltà.

Chiarita la differenza tra i referendum distruttivi e quelli costruttivi, va però rilevato che l’iniziativa delle regioni settentrionali apre una strada che presto o tardi dovrà essere percorsa dal resto del Paese. Perché è giusto che l’iniziativa presa in Veneto e in Lombardia riproponga i tema della questione settentrionale, ma è altrettanto giusto che accanto alla questione del Nord vengano poste rapidamente sul tavolo della politica nazionale la questione meridionale e le questioni delle grandi aree urbane del centro sud, a partire da quella della Capitale.

Si dirà che per arrivare a porre in maniera non traumatica e costruttiva la questione meridionale la Lega ci ha messo più di vent’anni di riflessioni, macerazioni, errori e lenti passi in avanti. E lo ha fatto anche grazie a un tessuto economico e sociale particolarmente avanzato come quello delle regioni padane. Roma e il Meridione debbono dunque aspettare vent’anni prima di maturare la consapevolezza che maggiore autonomia richiesta pacificamente può portare a maggiore crescita?

Le classi dirigenti meridionali sono sicuramente più arretrate di quelle settentrionali. E quella romana è addirittura devastata e imbesuita da un intero secondo dopoguerra dominato da una speculazione neppure razionale ma assolutamente anarchica e incontrollata.

Questi fattori negativi, però, non possono frenare una esigenza come quella del riequilibrio, nello Stato nazionale, delle questioni particolari delle sue grandi aree territoriali. Se alla riproposizione della questione settentrionale non segue rapidamente quella della questione meridionale e quella di Roma Capitale, sarà la stessa questione settentrionale a perdere slancio e a diventare da fattore propulsivo a peso e zavorra insopportabili per il Paese.

Troppo spesso i gruppi industriali e finanziari del Nord hanno cavalcato i ritardi di Roma e del Sud per acquisire maggiore potere. Col risultato di accentuare la disarticolazione delle istituzioni e screditare la democrazia liberale. L’auspicio è che capiscano il senso vero del referendum. Che non è quello di raggiungere una posizione di privilegio rispetto al resto del Paese, ma è di avviare l’intero Paese verso una situazione di maggiore stabilità e sicurezza.

Aggiornato il 07 ottobre 2017 alle ore 08:57