L’esempio della scienza giuridica straniera

Mi accade spesso nei miei scritti di denunzia del disastroso sgretolarsi dell’impianto stesso del nostro ordinamento giuridico, specie penale, sotto i colpi della legislazione e della giustizia delle emergenze, ma, soprattutto, dell’asinità di legislatori, magistrati, marciatori per lo Stato di diritto, di formulare giudizi assai pesanti sulla connivenza vile e inconcludente della scienza giuridica, dei professori universitari. Connivenza e inerzia vile che per qualche vero e per qualche caso sono già una valutazione benevola rispetto a quella che è, invece, una vera e propria partecipazione stolta e obbrobriosa alla vandalica opera di demolizione delle conquiste del diritto post-illuministico.

Ci sarà naturalmente chi vorrà definire questa mia indignazione una forma di senile brontolio di uno che non ha mai preteso di essere considerato un giurista esponente di questa scienza, benché così caduta in basso del nostro Paese. Voglio quindi sottolineare il fatto che fuori d’Italia, la scienza giuridica, i professori universitari delle facoltà di giurisprudenza sono invece capaci e impegnati a una aperta censura di fenomeni, benché assai meno gravi di quelli che qui si verificano in preoccupante crescendo, di disapplicazione di principi fondamentali del diritto e della civiltà giuridica e capaci di additare come deleteri tali fenomeni nel loro insegnamento, non senza denunciarne le responsabilità.

Ho avanti a me un testo universitario spagnolo (Università Complutense di Madrid) “Instituciones de derecho penal espanol – parte general” dei professori Manuel Cobo del Rosal e Manuel Quintanar Diez, appartenenti a due generazioni di giuristi. Il primo “patriarca dei penalisti spagnoli”, già fiero sostenitore e difensore della resistenza culturale al regime franchista, morto qualche anno fa. Giovane e valoroso suo allievo, con una lunga esperienza anche nelle università tedesche e italiane il secondo.

Ora a pagina 83 di tale volume è il capitolo intitolato “Metodos de elusion del monopolio de la ley penal” che tratta il fenomeno della violazione da parte dei pubblici poteri, del principio di legalità (nullum crimen, nulla poena sine praevia lege penali”). Un principio da noi assai più che in Ispagna violato e vilipeso da legislatori, governi, magistrati.

Ecco una traduzione di quelle mirabili pagine:

Come avviene tale violazione: “Creazione giurisprudenziale del “diritto... retroattività della legge penale… analogia… norme dettate dal potere esecutivo… precetti penali indeterminati, tanto in ciò che riguarda i delitti, tanto per ciò che attiene alle pene... In questa direzione dobbiamo rimetterci al già esposto principio di tassatività penale nel senso della rigidezza, chiarezza e delimitazione dell’ambito di ciò che è punibile, che la legge penale deve assicurare... Ciò comporta l’uso di termini rigidi, chiari e precisi, il senso del cui contenuto corrisponda con l’uso abituale della lingua (del Paese per il quale si legifera) tanto per ciò che si riferisce dei tipi penali, tanto per ciò che attiene alla previsione delle pene, la cui durata in astratto deve essere individuata con concisione tale che non possano sortire limiti eccessivamente ampi... Allo stesso fine deve essere evitato l’impiego di termini tipici... che rimettano ad altri ordini normativi per il loro chiarimento... Curiosamente, le maggiori aggressioni al principio di legalità della legge penale, di certezza di forma eccellente... di chiarezza e di tassatività, paradossalmente avvengono, nei nostri tempi, dalla stessa legge... È il potere legislativo che... qualche volta in maniera cosciente, altre volte in maniera incosciente, per incompetenza, mancanza di conoscenza, formazione, valutazione del linguaggio in materia criminale. In altre occasioni lo fa coscientemente, anche utilizzando l’involuta tecnica che gli mette a disposizione la dottrina giuridica...”.

Questo si scrive dai docenti di università apagnole. Andate a trovare professori universitari italiani che, benché abbiano di fronte una realtà enormemente più grave, osino fare altrettanto. “Il coraggio, quando uno non ce l’ha, non può darselo”. Così diceva Manzoni. Io mi accontento dell’espressione plebea: “Non si cava il sangue dalle rape”.

Aggiornato il 03 ottobre 2017 alle ore 18:10