La politica dei piccoli passi

I grillini in generale e Beppe Grillo in particolare lamentano, anche con toni astiosi, d’essere maltrattati dalla stampa, sebbene riempiano i giornali e le televisioni. Certo, subiscono critiche giuste e ingiuste, come tutti i partiti e gli uomini politici. D’altro canto, si beano di giocare soli contro tutti e dunque hanno tutti contro, ovviamente. Finora sono stati all’opposizione: contro i governi, contro le maggioranze, contro i vecchi partiti.

Come si sa, il banco dell’opposizione è sempre il più comodo, almeno nei sistemi liberi e democratici. Omettono di ammettere che è stato proprio questo loro rifiuto di contaminarsi (apparente, perché, se siedi in Parlamento, “contaminato” lo sei per forza di cose!) con gli “altri” a fare la loro fortuna elettorale in un periodo di disprezzo della politica esistente. Essendo nuovi, giovani e belli, hanno ostentato un rivoluzionarismo declamato con insulti e velleità. Nascono con un Vaffaday (la loro fondativa “marcia su Roma”) e pretendono di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Grazie a varie circostanze favorevoli ed alla congiuntura economica, hanno conquistato la maggioranza relativa, stando ai sondaggi, ed alcuni municipi, trai i quali, nientemeno, la vecchia e la nuova capitale d’Italia: Torino e Roma. Chiara Appendino e Virginia Raggi, le punte di lancia del grillismo reale, dimostrano per l’ennesima volta che, in politica come nella vita, tra spararle grosse e farle grosse ce ne corre. Poiché dell’Appendino e di Torino so quello che ne dicono i giornali nazionali, cioè troppo poco per giudicare, vivendo a Roma da mezzo secolo posso a ragion veduta sindacare la sindaca Raggi. Non le addebiterò i mali del passato. Roma è stata sgovernata, ad essere onesti fino in fondo, da quando nel 1870 è diventata la Capitale, come doveva essere, se l’Italia doveva compiersi. E Cavour la prescelse perché lo diventasse.

Alla signora Raggi imputano, anche quelli che l’hanno votata, un disorientamento inaspettato in una predestinata. Due terzi dei romani votanti l’hanno voluta non solo e non tanto perché grillina, ma anche e soprattutto perché non ne potevano più dell’annoso andazzo, di sinistra, di destra, di centro. A questi disperati concittadini la sindaca, in quindici mesi, non ha dato nemmeno il minimo antidoto per distoglierli dal pentirsene. Si è persa nell’inconcludenza e smarrita nella politica, sdegnando i piccoli passi, che sono tanto dovuti quanto dimostrativi di operosità amministrativa e rispetto civico. I fatti concludenti, ecco cosa aspettavano e aspettano i romani dalla prima donna della Capitale. Per esempio, dipingere con pittura resistente le strisce dei mortiferi passaggi pedonali e illuminarli con specifici lampioni di segnalazione davvero non si poteva fare in quindici mesi? Per esempio, ripulire strade, monumenti, piazze almeno dalle semplici erbacce e le caditoie dalle occlusioni era proprio impossibile? Per esempio, mettere un po’ di vigili a regolare e sveltire il traffico nei tanti nodi della città era così difficile? E infine, nell’Urbe felicemente invasa da milioni di turisti, oltre i tre milioni di abitanti, quanto poco ci voleva per ripristinare, come minimo, i mitici vespasiani per gli uomini e, magari, i “raggiani” per le donne?

Non è indecente che nella Capitale milioni e milioni di persone non abbiano dove “ritirarsi” con decenza? Parlando adesso in generale, i sindaci non capiscono che i cittadini da loro si aspettano manutenzioni, non rivoluzioni; azioni ordinarie, mentre le straordinarie solo se indispensabili; la cura dell’essenziale, prima di apprestare il superfluo, specie se tartassati e indebitati da amministratori che si comportano come chi, avendo pochi euro in tasca, acquistasse cravatte di seta anziché pensare alle scarpe.

Aggiornato il 25 settembre 2017 alle ore 18:55