Fascismo, libertà d’opinione e comunismo latente

“Io non approvo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. L’abbiamo sentito e letto tutti un numero incalcolabile di volte, ma cosa crediamo che voglia veramente dire ? Forse che siamo disposti a tollerare chi in fondo la pensa quasi come noi, oppure chi invece ha la forza sufficiente a difendersi, oppure ancora è solo una formula rituale da ripetere liturgicamente ma di cui non si comprende né il contenuto né il senso? Questa riflessione sorge (o dovrebbe sorgere) spontanea di fronte a proposte di legge come quella di Emanuele Fiano sulla sanzione penale della “propaganda fascista”. Si badi bene, non l’apologia di un crimine o l’istigazione alla violenza, ma la semplice “propaganda” come la vendita o l’esposizione di un busto di Benito Mussolini, di un distintivo o di un portachiavi col fascio, nuovo o storico.

“Uccidete, uccidete, soldati dell’armata rossa, non esiste tedesco, nato o ancora da nascere che sia innocente”. Questa frase tratta da un noto scrittore sovietico di cui voglio scordare il nome è accettabile o no? Io credo proprio di no, però non perché propagandasse il comunismo, ma perché incitava a uccidere; anche i bambini. Io non mi sogno affatto di vietare di credere nel comunismo, di mettere in prigione chi saluta col pugno chiuso o chi vende il lambrusco “Rosso Stalin”, ma di sanzionare semmai chi scrive sui muri “uccidere i fascisti non è reato”, indipendentemente dall’ideologia per cui lo scrive.

Chi si dichiara fascista, saluta col saluto romano o va in pellegrinaggio a Predappio, se vuole ricordare le politiche sociali del regime, la sua urbanistica, l’indipendenza nazionale, l’Enciclopedia Italiana e magari qualcuno perfino il corporativismo, deve essere perfettamente e completamente nel suo buon diritto, che se invece inneggia ai campi di sterminio e all’assassinio politico va certo sanzionato, e non perché è fascista ma perché è criminale. Molti processi della Santa Inquisizione furono criminali non perché cattolici, ma solo perché banditeschi. Si dice, a sinistra, che il fascismo va trattato diversamente, perché vietato dalla Costituzione e perché fu molto peggiore. Non è così. Anzitutto, se un articolo di un testo legislativo – e massimamente di una Costituzione – è contraddittorio con tutto il corpo degli altri articoli, a cominciare dai principi primi (e il divieto di un partito indubbiamente lo è), pone immediatamente il problema della sua incongruità che ne impone la cancellazione, anche se viene definito finale e transitorio. Ma poi, una volta definito finale perché conclusivo e transitorio perché momentaneo e legato al difficile momento della transizione, come si può pretendere di considerarlo ancora vigente a settant’anni dalla proclamazione della Carta costituzionale? La sua decadenza è ormai un fatto compiuto e conclamato, ci si decida finalmente a proclamarla o no. Il discorso poi della maggiore tirannia esercitata dal fascismo, che ne farebbe quasi un unicum della storia, è manifestamente un assurdo. Il fascismo non poteva strutturalmente risultare peggiore del comunismo nell’esercitare la dittatura, perché aveva obiettivi molto più limitati, non voleva distruggere la proprietà privata e le libertà individuali ad essa connesse e aveva quindi una necessità di violenza organizzata in totalitarismo molto minore, tanto da essere definito da alcuni storici e politologi (ad onta di quello che lui stesso dichiarava) un regime autoritario piuttosto che totalitario. Il fascismo, non avendo le ambizioni di palingenesi totale del comunismo, non aveva bisogno di stroncare, oltre ai partiti avversari, anche le resistenze delle decine di milioni di persone private della disponibilità della loro vita privata e delle loro cose, ma unicamente quelle delle centinaia di migliaia che si vedevano espropriate del loro diritto all’organizzazione sindacale, alla libera stampa, alla politica organizzata insomma. Cose assolutamente terribili, ma che non avevano il “bisogno” di un grado di violenza organizzata pari al comunismo leninista o staliniano; il fascismo non necessitava di essere programmaticamente repressivo come il comunismo, e infatti non lo fu. E oggi pare francamente inaccettabile che gli eredi di almeno parte della tradizione comunista propongano leggi liberticide contro i simboli e la memoria di un fascismo storico, che nessuno vuol riproporre nei suoi aspetti peggiori, allo stesso modo che nessuno rivendicava più gli aspetti peggiori del comunismo, almeno fino a quando non ci hanno fatto venire dubbi su di un comunismo di ritorno.

Dato il tipo di argomentazioni utilizzate a supporto della tesi proibizionista, non si poteva non entrare almeno parzialmente nel merito, ma il punto, lo ribadiamo, non è lì. Il punto è che nessuna idea o simbologia, politica, religiosa o di qualunque natura, può essere vietata di per sé, mentre nessuna apologia del crimine può essere ammessa, indipendentemente dall’ideologia sottostante. Se si esce da questa logica, limpida, lineare, che permette la diffusione di qualunque idea, qualunque satira, qualunque analisi storica (da Charlie Hebdo a Giampaolo Pansa), libertà e democrazia vengono poste a rischio. Se si comincia ad ammettere eccezioni, vi sarà sempre chi proverà ad estendere l’eccezione fino a farne una regola e una prassi generalmente liberticida e chiunque, di qualunque idea, potrebbe in un futuro diventarne una vittima. Non solo, ma, sul piano storico, troppe volte si è visto che la protrazione nel tempo della memoria dei crimini passati è servita per dare una copertura giustificativa di crimini presenti.

Alla fine, alla base di ogni legge limitativa della libertà di opinione ed espressione, vi è sempre l’intolleranza di ogni opinione diversa dalla nostra, diversa da quello che ci piace sentirci dire e che consideriamo politically correct, che però varia da paese a paese, da epoca ad epoca, mentre la tolleranza è un valore universale da difendere sempre.

Io non credo che il saluto romano possa essere considerato, dopo settant’anni, un vulnus alla democrazia, credo invece che una legge che lo sanzioni con la galera veramente lo sia. È facile, in tutte le epoche, seguire il conformismo, più difficile seguire i principi, credo che quelli che la pensano come me avrebbero rischiato di finire al confino, durante il Ventennio, molto di più di certi antifascisti di oggi che magari invece avrebbero virtuosamente applaudito ai tribunali speciali. Molti polemisti hanno fatto rimarcare il ridicolo di certi divieti ormai completamente antistorici, che si diffondono nuovamente e non solo da noi, basti pensare alle contestazioni in America alle statue del generale Lee o addirittura a Cristoforo Colombo (forse ci toccherà vedere come reato la difesa di Erode dall’accusa per la strage degli innocenti) e questo atteggiamento è comprensibile, data l’apparente vacuità di fronte ai reali problemi di oggi come l’Isis e il terrorismo internazionale, ma è sbagliato, perché sono invece cose gravi, che minano alla radice le ragioni della convivenza, che deve rispettare tutti coloro che non delinquono veramente con le loro azioni.

“Io non approvo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. Non chiedo di farlo fino alla morte (“beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi”, diceva uno di sinistra), ma almeno con un po’ di schiena diritta certamente sì e anche a sinistra, perché non serve a niente, neanche alla cosmesi, il renzismo senza una reale adesione ai principi di libertà. Per tutti.

Aggiornato il 21 settembre 2017 alle ore 21:31