Che fretta c’era per lo Ius soli?

Sui migranti, lo Ius soli spacca il Partito Democratico. Così si scrive e si legge sui giornali. Forse sarebbe stato più d’aiuto una lettura del fondo di ieri del nostro direttore che mette a fuoco la situazione non affatto tranquilla dentro il Pd, soprattutto fra i cattolici, quando si tratta di immigrazione. E basterebbe, tra l’altro, riflettere attentamente sulle esternazioni del Pontefice a proposito di immigrazione e le reazioni ufficiali del governo insieme al premier, e quelle di Graziano Delrio - peraltro ministro pure lui, ma di parere opposto - definendo il rinvio della legge come un grave atto di paura. Esagerato, verrebbe voglia di dirgli.

Intanto, riassumiamo il diritto di cittadinanza da noi: lo Ius soli avrebbe dato la cittadinanza ai minori, nati in Italia. Nella proposta del Pd era previsto anche lo Ius culturae, ovvero la cittadinanza al minore straniero arrivato prima dei 12 anni, purché frequenti un ciclo di formazione per cinque anni. Il ministro Delrio è ovviamente cattolico e (ovviamente) progressista ma vuole essere più a sinistra degli altri e dello stesso Pontefice retour d’Amérique (vedi sopra) manifestando già prima di questo “grave rinvio” non poche differenziazioni e contrasti con un altro collega di governo, il ministro dell’Interno Marco Minniti, divenuto una sorta di bersaglio preferito da quelli che una volta erano definiti i massimalisti di sinistra, per le sue note e apprezzate decisioni sui migrantes, i rimpatri, le regole d’ingaggio per le Organizzazioni non governative.

La decisione di rinviare lo Ius soli in Senato era una scelta pressoché obbligata proprio per il Pd, almeno per la sua parte che non solo sa contare i numeri dei favorevoli e dei contrari, ma riesce a captare il senso comune in un’Italia che è sempre più arrabbiata proprio sulla questione di un’immigrazione fino ad ora assai poco controllata, senza purtroppo una responsabile attenzione alle Ong e ai loro trasporti umani. Il rinvio non poteva che essere una scelta per dir così obbligata contro il rischio di una rottura in Senato della ristretta maggioranza, con conseguenze immaginabili per il governo, e non solo. Cosicché lo Ius soli si è trasformato in un cavallo di battaglia di una sinistra che ha come obiettivo principale quello di contestare il Pd, costi quel che costi, tant’è vero che sia Mdp che Sinistra Italiana hanno garantito il voto di fiducia sia pure tecnico per approvare lo Ius soli, dimenticando che nemmeno i loro voti vi basterebbero.

Su questo sfondo di mare politico procelloso per Paolo Gentiloni si innesta il caso Delrio con il suo speech in una televisione cattolica, Tv2000 (il canale ufficiale della Cei), di non nascoste posizioni più “terzomondiste” rispetto alla stessa Segreteria di Stato del Vaticano, e avversaria, ça va sans dire, del ministro degli Interni. “Non dobbiamo farci dominare dalla paura - ha detto Delrio - nessun male ci può venire dal riconoscere i diritti ai ragazzi che sono già italiani”, riconoscendo peraltro il buon lavoro del loro capogruppo al Senato Luigi  Zanda il quale, ad ogni modo, è proprio colui che ha ammesso di “non avere i numeri sullo Ius  Soli”. Che ci sia qualche contraddizione nel delrionismo, più di lotta che di governo, è abbastanza evidente. E la gran fretta di approvare una legge che non ha i numeri per passare è quanto mai discutibile, se è vero come è vero che c’è comunque una legge in vigore da noi, quella (governante Giulio Andreotti) del 5 febbraio del 1992, la quale al primo comma recita, a proposito di cittadinanza, che questa viene conferita, su domanda, “allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”.

Eppure non è infrequente leggere su giornali che si definiscono “progressisti doc”, amare considerazioni e proteste contro il rinvio di stampo minnitiano anche da parte di coloro che, nati all’estero, sono in Italia da dieci, venti, trent’anni. E allora?

Aggiornato il 14 settembre 2017 alle ore 22:15