Un temporale e l’Italia s’inginocchia

Si può morire annegati nel proprio letto? Evidentemente sì. È ciò che è accaduto alla sventurata famiglia Ramacciotti di Livorno, abitante in viale Nazario Sauro. Erano in quattro: moglie, marito, un figlio e un nonno-eroe che è riuscito a salvare una nipotina, unica superstite, spazzati via, l’altra notte, non dalla furia degli elementi ma da un acquazzone più intenso del solito. Stessa tragica sorte è toccata a Roberto Vestuti, di 64 anni da Carrara, che ha trovato la morte in via di Sant'Alò e a Raimondo Frattali, 70 anni, caduto in via della Fontanella mentre provava con moglie e figlia a cercare riparo sul tetto di casa. È questa l’amara verità da raccontare in un Paese che è davvero messo male se, non un uragano o una tempesta tropicale e neppure un monsone ma semplicemente un temporale mette in ginocchio una città. Che piova dopo mesi di siccità è una benedizione. Ma che un’area a forte inurbamento al primo nubifragio stagionale resti sommersa dal fango non è normale. Che siano eventi straordinari? Niente affatto. Ormai sono decenni che, dopo le estati torride, si verificano fenomeni atmosferici di più forte intensità. Basterebbe ricordarsene per tempo e fare ciò che è necessario per mettere in sicurezza le aree urbane e rurali a maggiore rischio. Non è la natura che è diventata particolarmente matrigna con gli italiani. Sono i responsabili della gestione della cosa pubblica che non sanno fare il loro mestiere. C’è poco da fare. Comunque la si rigiri è sempre e solo colpa dell’uomo. Non di un tipo umano indistinto, ma di ben individuati personaggi che scelgono, non avendoglielo ordinato il medico, di proporsi a guidare, a tutti i livelli, la comunità sociale. Parliamo di sindaci, assessori, presidenti di Regione, capi e sottocapi di dipartimenti e agenzie che dovrebbero, per statuto, occuparsi del bene pubblico. Una volta, si diceva, che lo facessero poco e male perché erano corrotti. Oggi, più banalmente, si deve constatare che una parte significativa della classe dirigente territoriale è composta da incompetenti. Magari onestissimi, ma incompetenti. E quando si parla d’interesse pubblico l’incapacità è colpa ugualmente grave se non peggiore della disonestà.

A Livorno siamo alla contabilità di morti che non si sarebbero dovute verificare. Ora, non si vuole scaricare la croce su nessuno. Ci sarà tempo per le verifiche. Ci penserà la magistratura. Tuttavia assistere, con il fango in strada e i corpi delle vittime ancora caldi, allo spettacolo indecente dello scaricabarile messo in piedi dal sindaco Cinque Stelle della città labronica, Filippo Nogarin, contro il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ex-piddino transfuga in “Articolo 1-Mdp”, è qualcosa di surreale. E inaccettabile. Nogarin lamenta il fatto che la Protezione civile regionale abbia emanato un allerta arancione anziché rosso come, a suo parere, avrebbe dovuto. Gli interessati ribaltano l’accusa sostenendo che il colore dell’allerta era giusto mentre sarebbe stato il sindaco a non attivare tutte le procedure previste per avvisare la popolazione del pericolo incombente. Basta stabilire se il grado d’allarme fosse del colore giusto per giustificare quelle morti? Suvvia, ma chi ci crede?

La verità è che quelli esondati a Livorno sono torrentelli, poco più che rigagnoli. Non il Gange o il Mississippi. Come se non bastasse, ci si sono messi pure gli ambientalisti da salotto a vergare epiche sentenze sui soliti “giornaloni” di complemento. Ma così è troppo facile cavarsela. Per i profeti del benaltrismo è sempre colpa di qualcun altro, magari di coloro che nei secoli hanno costruito case dove non avrebbero dovuto. Siamo alla solita excusatio non petita che non serve a nulla se non a confondere di più le cose. Senza discettare di massimi sistemi bisognerebbe domandarsi se una tempestiva manutenzione degli alvei e della rete fognaria non avrebbe attenuato, se non neutralizzato, l’impatto delle precipitazioni temporalesche. Le immagini trasmesse dalle televisioni dai luoghi del disastro parlano da sole. Cumuli di foglie secche e di tronchi d’alberi impastati con la melma e con l’acqua. Che il nostro territorio sia stato violentato dal cemento è vero. Mandare il personale del Comune a rimuovere il fogliame e a pulire i tombini, no? Ma che Paese è questo? Una cascata di pioggia e l’Italia diventa un’immensa laguna solcata da improbabili bateau-mouche a forma di automobili e cassonetti dei rifiuti che scivolano in superficie come in una fitta rete di canali navigabili. Allora Venezia, Livorno o Roma zona Colosseo cosa cambia? Solo niente gondole per gli innamorati.

Aggiornato il 11 settembre 2017 alle ore 21:44