Locarno e quel Reagan che fa pensare a Marco Pannella

Bizzarra l’associazione di idee che può suscitare vedere un film come “The Reagan Show”, dei registi Pacho Velex e Sierra Pettengill. Vedi questi 75 minuti, prima europea al Festival del cinema di Locarno, e ti viene in mente Marco Pannella. Sì, detta così è un po’ dura. I due hanno poco a che spartire, all’apparenza, almeno. Reagan, attore non eccelso ma buon parlatore, è stato apprezzato governatore della California, e poi per due volte consecutive presidente degli Stati Uniti d’America. Dichiaratamente conservatore, è stato la bestia nera di tutti i liberal, americani e del mondo. Ciò non toglie che – nonostante l’età, nonostante sia stato il primo presidente con un divorzio alle spalle, nonostante i non pochi limiti culturali e le gaffe – sia stato (e continui ad essere) uno dei presidenti più amati. Se non ci fosse il vincolo dei due mandati, sicuramente gli americani lo avrebbero eletto per la terza volta consecutiva. Come si spiega? Questione di “chimica”? Il fatto è che Reagan possedeva una qualità ammirevole e insieme inquietante: quella di saper ipnotizzare il pubblico, la “piazza”. Qualità che può essere usata per scopi nobili, ma anche per fini molto meno illuminati. Questa capacità di “ipnosi”, questa sapienza dell’incanto era, in Italia, una dote (non la sola) di Pannella. E di non molti altri.

Ed eccoci dunque a “The Reagan Show”: film costruito esclusivamente su spezzoni di telegiornali e notiziari degli anni Ottanta, e videocassette realizzate dall’amministrazione stessa. Il lavoro di Pettengill e Velez decostruisce l’approccio alla politica di Reagan, e mette in luce la maniacale attenzione allo strumento televisivo. Il clou del lavoro è incentrato sul “duello” mediatico tra Reagan e l’astro nascente sovietico, quel Mikhail Gorbaciov che assume un “volto umano”, per cercare di salvare l’ormai fatiscente e perduto impero comunista. Ricordate? Con due sole parole, “Glasnost” e “Perestrojka”, riuscì ad affascinare il mondo. Reagan, i suoi consiglieri, la sua amministrazione, sono consapevoli che devono giocare la loro partita sullo stesso terreno. “The Reagan Show” analizza come il presidente americano abbia saputo fare buon uso del suo passato di attore, e attraverso le sue capacità nelle pubbliche relazioni riesce a superare la sfiducia sovietica da una parte, le ostilità evidenti di una stampa di casa, “Cnn”, “Nbc”, “Abc” per prime.

E attraverso soprattutto gli “spezzoni” recuperati si prende atto che nulla, dello “spontaneismo” di Reagan era frutto di un caso. Tutt’altro. Ogni dichiarazione, ogni intervento, era frutto di un lungo calcolo, in funzione dell’efficacia e del messaggio che si intendeva veicolare. Lo testimoniano, per esempio, le scene, mille volte rifatte per uno spot in favore di John Sununu, e quel benedetto nome che Reagan non riesce proprio a pronunciare. Alla fine, quando lo spot va in onda ha un sapore di “naturalezza”, e dire che per raggiungere quel risultato Reagan impiega un intero pomeriggio...

L’attenzione alla parola (quella parola), al gesto (quel gesto), alla postura (quella postura), per dare l’immagine rassicurante e ferma, tranquilla, per rendere credibile l’evocato sogno americano (quello della casa in cima alla collina). Per questo viene in mente Pannella, così simile, pur nella grande diversità: anche lui ha dovuto fare virtu’ di necessità; inventarsi mille e un modo per “bucare” la cortina delle censure e dei silenzi, vincere gli ostracismi e il buio dell’informazione. Anche lui ha fatto uso sapiente del corpo e della parola, del “gesto”. Anche lui prestava maniacale attenzione all’immagine, alla forma che inevitabilmente era sostanza, al dettaglio, il modulo della voce a seconda delle occasioni, la scelta dei colori, del gioco delle ombre. Lo sanno bene i tele-cineoperatori di un tempo, le discussioni e gli amichevoli rimbrotti per quella o quell’altra inquadratura... Dicono che una volta qualcuno abbia chiesto a Gianni Agnelli a chi avrebbe affidato una campagna pubblicitaria per il lancio di una nuova autovettura; e l’avvocato risponde: “A Marco Pannella”. Forse è una leggenda, ma ha il sapore della verità.

Aggiornato il 11 agosto 2017 alle ore 10:33