Il traffico di migranti rallenta, buon segno

Il traffico di migranti sulla rotta libico-italiana è in calo. Lo attesta il Viminale. Gli sbarchi dal 1 gennaio 2017 fino al 9 agosto sono diminuiti del 3,47 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È una buona notizia che evidenzia un trend positivo. L’inversione di tendenza si registra dal mese di agosto. Dal 1 al 9 agosto dello scorso anno sbarcarono nei nostri porti 5.838 migranti. Nel medesimo arco di 9 giorni, quest’anno ne sono arrivati 3.076. Il 47,3 per cento in meno. Può darsi che il calo sia connesso al gire di vite del Viminale sulle Organizzazioni non governative.

Più verosimilmente, è che sul business del traffico di esseri umani sta cambiando il vento. Anche nella parte della Libia controllata dalle fazioni alleate del premier Fayez al-Sarraj. Comunque sia, registriamo una notizia che dovrebbe renderci tutti felici. Invece, no. C’è chi mastica amaro per questa svolta inaspettata. La compagnia dei malpancisti è folta. Va dalla sinistra terzomondista e multiculturalista, all’ultrasolidarismo cattolico, alle gerarchie ecclesiastiche, agli imprenditori privati e alle cooperative sociali. Tutti costoro, sebbene mossi da differenti ragioni, da fans dell’accoglienza illimitata avevano puntato sull’inarrestabilità della spirale migratoria. Ricordate i vaticini dei loro profeti? “Il fenomeno migratorio è fatto epocale che non si può arrestare”, “le frontiere non hanno più ragione di esistere”, “con le migrazioni la Storia si rimette in cammino” e altre amenità del medesimo tenore. Balle! Fermare l’invasione si può. Basta volerlo. Sono gli odierni malpancisti che sognano di ritornare a prima della cura-Minniti. È perciò facile prevedere che non si rassegneranno all’idea di non poter riempire il nostro Paese fino all’orlo con tutto il Terzo Mondo in trasferta. Però non potranno intonare, per le loro giaculatorie sull’accoglienza, la solfa dei profughi “asilanti” in fuga dalle guerre. La graduatoria stilata dal Viminale al riguardo è impietosa. Di siriani neanche l’ombra. Mentre ai primi posti della top-ten dei Paesi di provenienza dei migranti ci sono la Nigeria, il Bangladesh, la Guinea, la Costa d’Avorio, il Mali che, salvo notizie dell’ultim’ora, non sono in guerra e non vi sono in corso catastrofi umanitarie. Il prossimo refrain dei delusi-da-Minniti sarà sulle condizioni di vita dei respinti in Libia. Bisogna ammettere che l’argomento non è campato in aria. Sulle violenze e gli abusi perpetrati dai trafficanti sulle loro vittime non ci sono dubbi.

L’alto senso di civiltà degli italiani impedisce di disinteressarsi del destino individuale di coloro che vengono respinti. Il fronte dei multiculturalisti vorrebbe ritornare alla stagione renziana-alfaniana del prendiamoli-tutti-noi. Ma ciò equivarrebbe a ricacciarci nell’abisso dal quale stiamo faticosamente riemergendo. Che fare? Semplicemente andare avanti nella direzione intrapresa. Dopo la decisione di affiancare alla Marina libica le nostre unità navali nel contrasto al traffico dei migranti, è tempo che si faccia qualcosa sulla terraferma per mettere in sicurezza la massa di disperati che stazionano in quell’inferno. È tempo che sorgano hotspot in Libia gestiti dalle grandi organizzazioni umanitarie, ma vigilati dalle forze armate italiane. Preveniamo l’obiezione delle anime belle: “così si metterebbero gli scarponi dei nostri soldati sul suolo libico”. Sveglia! I militari italiani in Libia ci sono già. Chiedetelo alla ministra Roberta Pinotti. Sono nell’area di Misurata per l’operazione “Ippocrate”. Dal 2016 gestiscono l’ospedale da campo italiano che, sorto per curare i feriti miliziani impegnati nella guerra contro le forze dell’Is, oggi svolge assistenza sanitaria ai civili libici operando in affiancamento al locale ospedale. Il ministero della Difesa ha comunicato che sono state effettuate “oltre 8600 attività sanitarie tra visite ambulatoriali, consulenze specialistiche e medicazioni di cui 518 interventi chirurgici”. A vegliare sulla sicurezza di tutto il personale ci sono le nostre truppe. Proprio in questi giorni vi è stato l’avvicendamento al comando della missione. Al generale di divisione Fabio Polli è subentrato il colonnello Marco Iovinelli con 200 uomini del Nono Reggimento Alpini di base a L’Aquila. Ora, se i nostri soldati hanno funzionato per assistere e proteggere anche gli abitanti di Misurata perché non sfruttarne l’esperienza per organizzare un efficiente sistema di hotspot? Visto che ci siamo, finiamo il lavoro e facciamolo bene. Ne guadagnerebbero i migranti, i libici, lo spirito umanitario e la tranquillità degli italiani. Forse non gli interessi francesi. Ma questa è un’altra storia.

Aggiornato il 10 agosto 2017 alle ore 20:38