Cinque Stelle, un alibi dare sempre la colpa agli altri

Non è che il nostro giornale si diverta a non fare sconti alla sindaca di Roma, Virginia Raggi. La quale se li meriterebbe, almeno in parte, se avesse l’umiltà di prender atto della sola cosa che conta quando si vincono delle elezioni, e cioè che si deve governare.

È un must, quello del governo, che non accetta riduzioni né dai cittadini che hanno vinto o perso, né soprattutto da chi è stato mandato in Campidoglio (e non importa se per la prima volta). I grillini, e la Raggi prima fra tutti, fa l’opposto, fa melina, dice una cosa e ne fa un’altra, più stop che go. Ma, quel che è peggio, alza al cielo alti lai, da mane a sera, contro chi ha governato prima, mandando un messaggio tipico di chi scarica sulle responsabilità altrui le difficoltà del presente illudendosi, così facendo, di sfuggire alle proprie. Doppio danno, dunque: alla città e ai progetti, compresi quelli grillini, per rimediare ai danni passati, che ci sono stati eccome, ma che assurti sistematicamente a mo’ di giustificazione per rimanere immobili, la dice lunga sul futuro traballante della stessa sindaca.

Viste da lontano, metti da Milano, le vicende romane dell’acqua e del trasposto pubblico (Atac) stanno scrivendo un capitolo abbastanza inaspettato ma non imprevedibile all’indomani di un successo che proprio le sue manifestazioni trionfalistiche ne annunciavano i limiti; ma mai e poi mai ci saremmo potuti immaginare, a fronte di una Roma a rischio di acqua nei rubinetti e priva del governo dell’Atac, esiti propositivi così carenti e interventi sostanzialmente nulli. Le porte sbattute in faccia alla Raggi da uno dei nostri migliori manager pubblici, con una sequela di sfoghi tanto pesanti quanto indicativi di uno stato di disastro strategico nei disegni grillini per la Capitale, sarebbero bastati, in un’altra grande città, a gettarvi sopra uno sguardo critico molto più severo e comunque assai meno soft degli appunti riservatigli da non pochi media, come se il digiuno di governo diventasse automaticamente una scusante.

Diciamoci le cose come stanno: i pentastellati si sono giovati di un diffuso atteggiamento mediatico che li ha, per dir così, sviati e viziati al punto da non accorgersi che il Comune di Roma è affacciato su una voragine profonda di miliardi su cui si aggira lo spettro della bancarotta. Il debito finanziario è di 2,5 miliardi mentre il debito pregresso, con pesantissime rate di prestito pagate allo Stato, è di ben 13 miliardi senza dimenticare che i crediti vantati dalle partecipate, che il Comune ancora non riconosce, è di 1,5 miliardi mentre la stessa Atac vanta un credito dal Campidoglio di 380 milioni il quale, contestualmente, deve ai fornitori dell’Atac 325 milioni. Cifre da capogiro.

Siccome non si usa più portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento - per la cronaca va ricordato la bocciatura del primo bilancio presentato da una trionfante Raggi lo scorso anno - si presume che sindaco e giunta comunale attendano dal Governo un nuovo aiuto finanziario. Che non ci sarà, come pare addirittura ovvio. In compenso, e se l’umiltà li soccorresse, Raggi e soci dovrebbero predisporre subito un vero, severo, impietoso giro di vite sugli sprechi che la fanno da padrone puntando su un aumento consistente delle entrate, sol che si pensi che a Roma viene incassato appena il 15 per cento delle contravvenzioni; una bazzecola, mentre i mancati introiti per gli affitti sfiorano i 100 milioni l’anno e, infine, soltanto il 10 per cento degli arretrati Imu vengono lavorati. “Insomma, il gettito ci sarebbe, ma va incassato”. E un po’ di umiltà non guasterebbe, ché le continue accuse contro quelli di prima sembrano una scappatoia, meglio, l’alibi per nascondere un disarmante vuoto gestionale e, quel che è peggio, di idee.

Aggiornato il 02 agosto 2017 alle ore 20:36