Appello a Pignatone, Gabrielli e Bindi

Il dibattito che si è acceso dopo la sentenza su Roma Capitale ha confermato in pieno che la posta in palio dell’inchiesta portata avanti dalla Procura di Roma non era solo la punizione per i responsabili della corruzione sistematica dell’apparato politico e amministrativo romano interessato al settore delle cooperative sociali, ma era anche  la modifica del 416 bis attraverso un’estensione della normativa antimafia alla fattispecie della corruzione. Il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, lo ha affermato in maniera esplicita rilevando che l’impianto accusatorio del processo per “Mafia Capitale” era fondato, appunto, su un’interpretazione “avanzata” del 416 bis. Lo stesso ha fatto il capo della polizia di Stato, Franco Gabrielli, rilevando la necessità di un adeguamento legislativo in questa direzione delle norme sulla corruzione. E, infine, anche la presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, ha sostenuto questa necessità insistendo sull’esigenza di combattere i nuovi e più ampi fenomeni corruttivi con gli strumenti già impiegati con successo nella lotta alla mafia.

Le prese di posizione di Pignatone, Gabrielli e Bindi vanno accolte da chi si considera un garantista e teme la mafiafizzazione giudiziaria dell’intera società italiana, non con preoccupazione ma con sollievo e soddisfazione. Esse sgomberano il campo dalle strumentalizzazioni, dalle forzature, dal polverone oscuro e distorsivo creato dai media e pongono con chiarezza e onestà intellettuale sul tavolo della politica italiana la domanda se il fenomeno della corruzione possa essere meglio combattuto attraverso l’estensione della legislazione antimafia.

Discutere su questo tema non è facile. Perché non esiste nel nostro Paese una pari legittimità tra chi sostiene la tesi dell’allargamento della legislazione antimafia all’emergenza rappresentata dalla corruzione e chi è invece convinto che se la mafia produce corruzione non sempre la corruzione si identifica con la mafia. La cultura giustizialista dominante non accetta il contraddittorio e tende inevitabilmente a bollare come un oggettivo fiancheggiatore di corrotti e mafiosi o, se vogliamo, di corrotti mafiosi, chiunque pensi più giusto mantenere una distinzione tra i due tipi di reati e, soprattutto, si permetta di ipotizzare che estendere all’infinito una legislazione emergenziale possa creare nelle istituzioni e nel Paese uno stato di emergenza continuo e assoluto tale da far temere una svolta illiberale e autoritaria. Non si può dimenticare, a questo proposito, che durante lo svolgimento del processo Mafia Capitale alcuni organi di stampa non hanno esitato a sostenere che i difensori degli imputati andavano perseguiti per concorso esterno in associazione mafiosa proprio in quanto difensori di corrotti considerati mafiosi.

Per questo va rivolto un appello a chi ha avuto il merito di aver sollevato in maniera chiara il problema, al procuratore Pignatone, al capo della polizia Gabrielli, alla presidente dell’Antimafia Bindi, affinché sia impedito che la discussione venga spenta prima ancora di accendersi attraverso una demagogica criminalizzazione di chi nutre parere diverso. Il 416 bis si può anche cambiare ma senza ricorrere alle scorciatoie giacobine che non risolvono ma aggravano i problemi!

Aggiornato il 25 luglio 2017 alle ore 21:30