Renzi con una sinistra in crisi

Avrà un bel da fare Matteo Renzi, che pure invoca quotidianamente i quasi due milioni di voti alle sue primarie, nei confronti di una crisi a sinistra (ovvero della sinistra) che non accenna a diminuire, anzi. Ma anche i suoi avversari, quelli rimasti dentro questo Partito Democratico e quelli usciti con una scissione con in testa Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, non hanno e avranno di che gioirsene. La crisi a gauche non guarda in faccia a nessuno ed è, allo stato, irrisolvibile. Qualcuno la definisce come una sorta di virus mortale, altri di una vera e propria maledizione della storia, altri più esplicitamente evocano un grande della sinistra sepolto ad Hammamet, quel Bettino Craxi che non vollero neanche da morto e che da allora li maledice: la maledizione del Faraone. Anche e soprattutto perché da comunisti berlingueriani si schierarono sempre dalla parte sbagliata mai azzeccandone una, e dopo (e soltanto dopo) il crollo totale del comunismo e divenuti postcomunisti non solo si rifiutarono sdegnati di seguire le linee maestre del riformismo, del socialismo autonomista, democratico e liberale craxiano, ma si autocertificarono eredi di quel Partito socialista italiano del quale avevano contribuito a piene mani alla liquidazione per via giudiziaria facendo di Craxi il capro espiatorio dell’inchiesta che li miracolò.

Il destino dei piddini, benché abbarbicati ai nuovi protagonisti procuratori e giudici e pure al grido ritmato di onestà! onestà! onestà!, perché sicuri di essere scampati ai conti della giustizia all’italiana, non sono però riusciti a sfuggire a quelli veri, ai conti della storia.

Si sono chiamati nuovi, differenti, diversi e ovviamente democratici evitando accuratamente il termine “socialista” - che proprio loro avevano criminalizzato - e infine Matteo Renzi, non di matrice comunista ma democristiana, ha tentato di allontanarsi dalle vecchie e stantie mummie senza però fare i conti con la storia con una profonda, autentica, dolorosa e pubblica confessione, limitandola a qualche cenno vago e illudendosi che la sua nuovissima squadra potesse garantire da sola la patente di novità assoluta inneggiando alla giovinezza. Il risultato? Ha un nome: impotenza. Che diventa sempre più seria nella misura in cui ci si rifiuta di prenderne atto o, peggio, si adulano quei cori mediatici (adesso un po’ meno), gli stessi che hanno strutturato col giustizialismo il concetto di casta.

Eppure bastava un po’ di coraggio e di intelligenza per rendersi conto che il concetto di casta, ora addirittura inflazionato, è in sé e per sé debole ed elusivo. Eppure è stato devastante per partiti e politici, perché li ha dannati in quanto tutti corrotti, fuori dalla morale comune, fuori dallo stato etico. Quello speciale, ancorché sedicente, stato etico che, a ben vedere, opera contro un popolo da raddrizzare e far rigare dritto grazie a un pugno di eletti che si fanno oligarchi. Una conventicola potente che invade la vita delle persone con quei leader “morali” che impongono povertà e insicurezza. Come profetizzavano in Francia: la gauche? Un quelque chose de sinistre...

Aggiornato il 21 luglio 2017 alle ore 13:48