Governo balneare: come prima, peggio di prima

La retorica e l’antiretorica. Governi tecnici, governi politici. E balneari. Stavamo per scomodare il grande Indro Montanelli, ma poi abbiamo ascoltato l’altra sera nel talk-show in onda su “La7” il geniale Pietrangelo Buttafuoco che, con una sintesi mirabile nel coro della retorica che va per la maggiore - anche e purtroppo nei talk-show più volonterosi - non soltanto ha riscattato una trasmissione riuscendo a limitare i riflessi di un Piercamillo Davigo (meno scatenato del solito, peraltro), ma lo ha fatto dando la più vera rappresentazione della mala, più mala pianta di questo quarto di secolo: la retorica. La retorica dell’antimafia, tanto per esemplificare, è riuscita a ferire gravemente l’antimafia in sé e per sé, compiendo un perfido gioco a rebours nella misura con cui quella “retorica” che va purtroppo per la maggiore - come ha lucidamente spiegato Buttafuoco - non è più eloquenza, oratoria, efficacia ma il suo contrario: ampollosità, magniloquenza, esagerazione, accademia, ridondanza, prolissità e, va da sé, enfasi tribunizia al servizio, spesso, di una politica svuotata appunto dalla sovraeccitazione oratoria di condotti e conduttori in televisione, e non solo.

La retorica è esattamente il ribaltamento della verità oltre che della realtà, e la sua pericolosità va di pari passo con la sua induzione a una speciale autoconsolazione, alla autocertificazione di se stessi in una verità parallela cioè falsa. La Seconda Repubblica è il caso più emblematico di questo processo, a cominciare dalla stessa definizione di seconda, di nuova Italia, di nazione distinta e distante dalla prima, secondo le regole di una retorica, ben aiutata dal coro mediatico, che ha convinto quasi tutti i personaggi politici di essere stati e di essere gli artefici, i protagonisti di un cambiamento, e di crederci. Invece sarebbe bastato ragionare, almeno in questa legislatura, dei cambiamenti di casacca di circa quattrocento parlamentari - con casi recenti e frequenti di andata e ritorno - per rendersi conto che la tanto maltrattata Prima Repubblica era infinitamente migliore di questa autocompiaciuta e sedicente nuova Italia, non solo o non tanto perché i cambiamenti di partito erano assai più contenuti, ma perché si aveva il buon senso di chiamare le cose col loro proprio nome, a cominciare dai governi.

Prendiamo l’attuale. In questo Esecutivo definito “politico”, dove peraltro sta emergendo un Paolo Gentiloni che viaggia sempre più da solo, cioè distante da Matteo Renzi (e la vicenda dello Ius soli ne è la dimostrazione più lampante), di politico c’è ben poco nel senso che Palazzo Chigi va avanti faticosamente con l’ordinaria amministrazione, con un tran tran da governo d’affari, e pure con qualche dimissione ministeriale nel solco della suddetta “andata e ritorno”, di governicchio privo di spunti collettivi davvero politici, giacché i problemi che scottano, immigrazione ed economia, sono affidati al duo Minniti-Padoan. Diciamoci la verità: l’Esecutivo a guida Gentiloni è né più né meno un governo balneare. Sì, balneare, estivo, in un certo senso turistico. Si diceva così del Governo Leone del 1963, un governo-ponte in attesa di una coalizione comme il faut, cioè politica, un Esecutivo non molto affidabile perché di breve durata e composto, come ricordava l’indimenticato maestro di antiretorica Montanelli (rieccolo!), di ministri “bagnini” su una “balena “destinata a spiaggiarsi, più prima che poi. Insomma, un governo di transizione, per sbrigare affari correnti, per prepararne uno vero.

La Prima Repubblica non aveva alcun timore di dare alle cose, cioè ai governi, il nome che meritavano. Di dire pane al pane. Nessuna o quasi retorica li incapsulava nell’autogratificazione, nell’autoinganno. Oggi si ha paura del “de te fabula narratur”, non si pronunciano i nomi giusti. E il bello è che come prima, pardon, peggio di prima, si vuole nascondere il termine “balneare” in nome delle ipocrisie, del faire sans dire, come ricordava un secolo fa Victor Hugo. Renzi, infatti, è certissimo dell’essenza balneare di questo governo, ma non lo dice. Gentiloni, al contrario, nega elegantemente, cioè in silenzio, qualsiasi balnearità della sua compagine. Un bel match, diciamocelo.

Aggiornato il 19 luglio 2017 alle ore 21:40