Un anno per non fare più terra bruciata

Terra bruciata. L’Italia, dal nord al sud, arde sotto il sole cocente e il vento che spinge le fiamme, ma soprattutto viene devastata da due fattori che di naturale non hanno nulla: la follia dei piromani e la negligenza delle istituzioni. La straordinaria ondata di caldo che si è abbattuta sulla nostra Penisola ha fatto divampare imponenti roghi che hanno interessato aree boschive, lambito cittadine, interessato i collegamenti ferroviarie mandando in tilt il traffico su binari dell’intero Paese con ripercussioni su treni locali e nazionali. Gli incendi hanno generato paura e disperazione. Qualcuno ha perso la propria casa e i ricordi di una vita, altri il proprio lavoro collegato alle coltivazioni arse dalle fiamme che sopraggiungevano e devastavano tutto.

C’è tanta indignazione tra i cittadini che ogni anno vedono scorrere le stesse immagini, negli stessi luoghi e con gli stessi esiti. Un risentimento motivato dall’incapacità delle istituzioni a limitare questa piaga estiva che ciclicamente si ripresenta ma che evidentemente non viene contrastata nella maniera adeguata, ovvero attivando una politica di prevenzione e pianificazione territoriale e degli interventi. La manutenzione approssimativa delle aree a rischio, sia urbane sia extraurbane, la inadeguata copertura e vigilanza del territorio sono i principali colpevoli di questo scempio che riduce in cenere intere parti dell’Italia.

L’assenza di programmazione e adeguate risorse per l’educazione e la sostenibilità ambientale, la cura del territorio e delle sue aree più fragili ed esposte al rischio incendi, produce effetti devastanti. Se a questa carenza si aggiunge poi la follia umana, allora il risultato sono gli animali usati come ‘fiammiferi’ che, scappando, appiccano fuoco alla vegetazione del Vesuvio. Un reato barbaro che solo menti deviate e criminali possono concepire.

Ma quando i roghi sono il risultato di scarsa applicazione da parte delle istituzioni, quando chi dovrebbe preoccuparsi di limitare al massimo i potenziali rischi attraverso la cura e manutenzione del verde pubblico o delle aree potenzialmente esposte a incendi, beh in quel caso i responsabili sono da ricercare nelle amministrazioni locali che devono rispondere di questa sufficienza. A Roma e nel Lazio, né la sindaca Virginia Raggi (anche nella sua veste di primo cittadino dell’area metropolitana) né il presidente Nicola Zingaretti possono essere giudicati esenti da responsabilità. Mai come quest’anno si sono registrati tanti e tali incendi sul nostro territorio, con sperpero di risorse, personale e mezzi. Non può essere un caso, al di là delle condizioni di siccità verificatesi in questo 2017. Con tutta probabilità è mancato un piano regionale e comunale che potesse prevedere, e quindi marginalizzare, il rischio incendi. Dalla Pineta di Castel Fusano a Ladispoli, da Capalbio a Frosinone, è veramente un’estate di fuoco alla quale non si riesce a opporre una soluzione razionale e ragionata figlia di una seria organizzazione di governo del territorio.

A poco serve chiedere, come ha fatto il governatore Zingaretti, un costoso e tardivo stato di calamità. Se è vero che siamo in piena emergenza roghi, è vero anche che a questa emergenza ci si è arrivati per colpa di amministrazioni incapaci di prevenirla. Ora la priorità è certamente intervenire e limitare i danni. E speriamo che ciò avvenga nel più breve tempo possibile. In vista della prossima estate abbiamo un anno di tempo per invertire finalmente la rotta. Per fortuna Zingaretti non guiderà più la Regione, e probabilmente la Raggi avrà capito che non è all’altezza di essere sindaca di Roma. 

(*) Consigliere regionale del Lazio e membro dell’assemblea nazionale di Fratelli d’Italia

Aggiornato il 19 luglio 2017 alle ore 09:57