Euroscettici vs Europeisti: il gioco al massacro della sinistra italiana

Una frattura, poi un’altra e un’altra ancora. La storia del centrosinistra è una storia di divisioni e lotte fratricide. È storia la sua natura, certo, ma con un’anima assolutamente attuale. C’è di nuovo che Matteo Renzi sia tornato ad attaccare la sinistra senza risparmiare colpi. Il suo saggio in uscita, pubblicato da Feltrinelli, dal titolo “Avanti” ne è la prova. La maggioranza torna a dividersi, improvvisamente, sull’Europa, sull’immigrazione e sulle politiche economiche da attuare in una fantomatica nuova primavera renziana. Esiste un solco ideologico tra i progressisti che va identificato, un solco che spacca in modo irreversibile lo spazio politico del centrosinistra. E che non vuole altro che la rovina dell’ex premier.

Renzi non molla. È di qualche giorno fa la notizia, annunciata sul web, poi ritirata in modo grossolano, che per il leader del Pd è “impossibile poter accogliere tutti i migranti che sbarcano sulle nostre coste”. Le reazioni della minoranza dem e dei fuoriusciti vicini a Giuliano Pisapia non si sono fatte attendere. Contrattaccano a testa bassa il vincitore delle ultime primarie democratiche e arrivano a “linkare” il pensiero renziano a una qualsiasi presa di posizione leghista sullo stesso tema. La sinistra, dunque, si divide tra Europeisti ed Euroscettici con Renzi nel ruolo del picconatore. Quello che guarda a destra e che non può o non vuole riconoscersi con la meglio gioventù progressista. Non ha il permesso o il lusso di poter sbagliare e, a mettere i puntini sulle i, arrivano puntuali i vari Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e Massimo D’Alema.

A questo gioco al massacro, che chissà quanto potrà costare alla formazione di centrosinistra alle prossime elezioni, partecipano tutti. Tutti gli scontenti, tutti quelli che odiano Renzi, tutti gli scettici, tutti quelli che - almeno una volta – hanno sorriso e magari brindato dopo il fallimento del referendum del 4 dicembre 2016. Il giorno in cui Renzi venne battuto e costretto alle dimissioni. Sono tanti. Ma non c’è solo l’immigrazione a dividere. Ultime in ordine di tempo, ma non meno importanti, le sportellate per le riforme di politica economica annunciate dall’ex premier nella sua ultima fatica. L’ex premier sfida ancora una volta Bruxelles. Chiede di più. Chiede, chiede e cerca uno spazio di manovra in casa, a Roma, dove poter agire e intervenire senza che l’Ue si metta di traverso.

Chiede il ritorno per 5 anni ai parametri di Maastricht con deficit al 2,9 per cento. Una ricetta che farebbe guadagnare all’Italia un margine di 30 miliardi per ridurre la pressione fiscale e rimodellare le strategie di crescita. Nel manifesto del padrone di casa del Nazareno c’è anche il veto nei trattati al Fiscal Compact, definito da lui “scriteriato”. E arrivano le bordate. Bersani respinge con forza al mittente la proposta economica dell’ex premier: “È l’eterna e fallimentare ricetta di tutte le destre del mondo”, dice. Stefano Fassina, di Sinistra Italiana, apprezza l’obiettivo di deficit programmatico al 2,9 per cento, ma contesta l’uso delle risorse per il solo taglio delle tasse.

Renzi non ci sta e risponde, accusa i suoi “nemici”. Va all’attacco. Addossa a Mario Monti e ad Enrico Letta la responsabilità della crisi sui migranti e si racconta come vittima sacrificale del fuoco amico della sinistra nostalgica. Spiega: “In nome dell’unità si pratica la scissione. Ignorando la storia, si vive di amarcord”.

“È venuto il momento di dirlo: firmare il Fiscal compact e il pareggio di bilancio in Costituzione è stato un grave errore. Probabilmente in quel momento non si poteva fare altrimenti, ma ciò non toglie che le cose vanno cambiate”, così il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, intervistato da La Stampa. L’unico a prendersi la briga di appoggiare la proposta di Renzi. Se ciò non bastasse, infatti, se gli autogol nella maggioranza non fossero sufficienti, anche il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ferma la proposta renziana: “Più deficit solo se si tagliano le tasse sugli investimenti, altrimenti meglio il commissariamento”, chiosa in un’intervista sul Corriere della Sera. Si va delineando così uno scenario che fa rabbrividire anche lo spirito più temprato. Uno scenario di rottura. Uno scenario da suicidio. Una brutta frattura. Le urne restano un miraggio. Altro che Terza Repubblica.

Aggiornato il 10 luglio 2017 alle ore 19:19