Giustizia, il gioco dei quattro cantoni

Politica come giustizia, in Italia, ovvero il gioco dei quattro cantoni. Una maledizione che ci pesa sopra, tanto più grave quanto più la Seconda e la Terza Repubblica si inseguono dando la netta sensazione di giocare: ai quattro cantoni, appunto. Che è poi il non raccontarla giusta, il preferire le bugie e, soprattutto, lasciare le cose come stanno; o, quel che è peggio, aggravarle.

Prendete il caso della giustizia, pardon, i casi, dai braccialetti che mancano (e la gente sta il galera) al nuovo, nuovissimo reato della tortura, alla nuova, nuovissima antimafia e ditemi voi a che gioco (perverso) si sta giocando. Per i braccialetti è dovuto spuntare il nome di un attore, più o meno famoso e finito in galera, per rendere di pubblico dominio la carenza di questi aggeggi che, tra l’altro, farebbero risparmiare tempo e denaro agli addetti ai lavori giudiziari, oltre che dare una sorta di boccata d’aria, cioè senza le sbarre, ai malcapitati. Ma tant’è, e speriamo che qualche volonteroso sottosegretario acceleri i tempi della gara per acquistarli, evitando comunque di finire attenzionato da magistrati sempre sul chi vive, e comunque sempre o quasi chiamati in causa persino per i braccialetti, per l’eccessivo potere discrezionale. Come dire: loro non giocano ai quattro cantoni

E sul nuovo reato della tortura? Può darsi che nel nostro compito a cercare il cosiddetto pelo nell’uovo stiamo esagerando. Eppure non è chi non veda che l’istituzione di questo reato non fosse così obbligatoria, e questo detto da chi il garantismo non ha mai abbandonato, e mai abbandonerà. Il fatto è che il reato di tortura e di istigazione alla stessa e che riguarda essenzialmente le forze dell’ordine, esiste già nel nostro codice anche se con altri nomi: abuso di potere, lesione, lesione aggravata e in caso di morte esiste l’omicidio, se è un pubblico ufficiale che commette il reato, ci sono le aggravanti. Dunque le norme ci sono, le pene pure e basterebbe applicare quelle esistenti, o no? Aggiungiamo a latere che il delitto di tortura dovrebbe essere imprescrivibile, come l’omicidio. Mah... E delle questioni sollevate a proposito del nuovo codice antimafia e la sua - per dir così - “esondazione” verso la corruzione, le più importanti sono quelle dei giuristi come Giovanni Fiandaca, dello stesso Luciano Violante, sì proprio lui, e persino di Raffaele Cantone. E ho detto tutto se non fosse che, per fortuna, il testo deve ritornare di nuovo in aula dove, ci si augura fortemente, si guardino con qualche attenzione in più le conseguenze.

Nel testo, secondo Filippo Facci, si è inventata una normativa a parte per le presunte mafie che utilizzano la corruzione non solo sdoppiando le abbondanti leggi che ci sono già, ma estendendo confische e sequestri ai danni di qualsiasi imputato per reati contro la Pubblica amministrazione, il che potrebbe rovinare innocenti, gente che non c’entra, aziende un tempo floride. Ma ciò che non può non suscitare la massima preoccupazione dei veri garantisti, sempre in lotta contro populismi, giustizialismi, gogne e galere facili, è, per l’appunto, l’aspetto della confische facili, che solleva non soltanto dubbi di legittimità costituzionale, ma contrasta apertamente con non poche convenzioni internazionali. Ci fermiamo qui non senza evocare lo spirito del grande, immortale Marco Pannella. Se ci sei, batti un colpo, Marco!

Aggiornato il 07 luglio 2017 alle ore 22:10