Il come e il perché delle Ong

Di fronte ai corridoi umanitari privati realizzati dalle navi delle Ong non ci si può limitare a dare una risposta al quesito sul “come” questi corridoi vengono realizzati, Ormai non c’è più una sola ombra di mistero sulle modalità con cui operano le imbarcazioni della organizzazioni umanitarie. E si conosce fino al più minimo dettaglio il numero delle persone che, attraverso questo ponte niente affatto metaforico, parte dalle coste libiche e arriva nei porti italiani. I dati forniti dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, sono più che illuminanti e oltre a dimostrare l’ampiezza davvero straordinaria del fenomeno forniscono una spiegazione più che convincente di tutti i particolari con cui vengono realizzate le operazioni di salvataggio e di consegna sul nostro territorio.

Per tentare di gestire e mettere sotto controllo il flusso di migranti portato dalle Ong, Minniti ha proposto che le navi umanitarie collaborino con la polizia giudiziaria italiana e accettino di sottoscrivere un codice contenente regole di comportamento precise.

L’intento è apprezzabile, ma il vero problema da risolvere non è quello del “come” ma quello del “perché”. Qual è la ragione di fondo per cui organizzazioni private svolgono una attività così complessa, così costosa e, soprattutto, così carica di conseguenze di ogni genere sia su chi ne usufruisce che su chi la subisce?

La motivazione umanitaria è sicuramente quella principale. Ma non copre e non può in alcun caso rappresentare l’unica spiegazione di un fenomeno che per la sua dimensione e per la sua portata incide non solo sul presente e sul futuro di uno Stato sovrano come l’Italia, ma sul presente e sul futuro di un intero continente.

Il sospetto che per qualcuna di queste organizzazioni a cui fanno capo le navi la spiegazione umanitaria sia accompagnata da altre ragioni è forte. E non è un caso che la magistratura italiana sia impegnata a fare chiarezza su questi aspetti non definiti che suscitano preoccupazione e inquietudine. Ma in attesa che si conoscano i veri e più remoti “perché” sarebbe opportuno che la politica (e non la magistratura) affronti senza indugi la questione se uno Stato sovrano debba subire senza reagire in alcun modo l’attività di organismi privati e stranieri sia pure motivati da grandi ragioni umanitarie.

Il ritardo su questo punto è sconvolgente. Perché suscita nei cittadini la sensazione che lo Stato abbia ormai rinunciato alla propria autonomia e sopravvivenza. E senza Stato non c’è la Città del Sole dell’accoglienza e della bontà ma solo il caos!

Aggiornato il 07 luglio 2017 alle ore 22:22