Centrodestra, la forza sta nei numeri

Tra emergenza idrica, crisi dei migranti, Ius soli e diatribe con i partner europei, si prepara un’estate di fuoco per gli italiani. E non saranno certo gli intrighi di palazzo di Matteo Renzi a togliere le castagne dal fuoco. Per voltare pagina bisognerà attendere che il Presidente della Repubblica stacchi la spina all’agonizzante Governo Gentiloni consentendo al popolo di tornare alle urne. Con qualsiasi legge elettorale, poco importa. Sarà allora che il centrodestra unito dovrà dimostrare di essere la migliore risposta alle aspettative di tutta la nazione.

Sembrerebbe quasi una banalità dirlo se non fosse per l’opera demolitoria di un gruppo affiatato di cosiddetti moderati che brigano affinché si arrivi alla rottura definitiva del centrodestra. C’è in giro chi tira la giacchetta a Silvio Berlusconi perché la faccia finita con la coalizione con i partiti della destra identitaria. C’è chi anela a vedere Forza Italia imbarcarsi in un’avventura neo-centrista nella prospettiva di un’alleanza di governo con il Pd renziano. Costoro, messi di fronte alla ovvia obiezione che il centrodestra unito ha dimostrato di essere vincente, controbattono sostenendo che con la Lega e con Fratelli d’Italia siano possibili soltanto alleanze di corto respiro in circoscritti contesti locali, mentre vi sarebbe una naturale incompatibilità di visione che renderebbe impraticabile l’ipotesi di un’alleanza organica per il governo del Paese.

Ora, finché si resta nel campo delle opinioni anche questa posizione per quanto per niente condivisibile merita rispetto. Ma, se si pretende di contrabbandare un auspicio per un dato di realtà, il discorso cambia. Ciò che qualifica le analisi politiche sono gli elementi che passano indenni un criterio di verificazione (vero/falso per intenderci) e non si fondino invece sullo sciorinamento di frusti luoghi comuni. Per essere chiari, desiderare che si governi con la sinistra perché si ha disgusto per le idee della Lega è legittimo, ma asserire che ciò debba accadere perché manca una condivisione di programma che vada al di là della gestione quotidiana di specifiche realtà locali è falso. Lo dicono i numeri.

Tralasciando il caso felicissimo della recente tornata elettorale delle amministrative nella quale il centrodestra unito ha conquistato 16 comuni capoluoghi di provincia sui 25 andati al voto, si guardi all’esperienza di governo in Lombardia, Veneto e Liguria. Non parliamo di realtà marginali. L’area vasta di contiguità coperta dalle tre regioni è di 47mila 678 Kmq, pari al 15,82 per cento della superficie territoriale italiana. In essa vi risiedono, secondo una rilevazione al 30 novembre del 2016, 16 milioni 520mila abitanti, cioè il 27,26 per cento della popolazione italiana. Nell’area sono attive, al 2016, 1 milione 386mila 910 imprese (fonte Infocamere), che costituiscono il 27 per cento dell’universo imprenditoriale italiano. La forza lavoro occupata, al 2016, conta complessive 7 milioni 19mila unità, pari al 30,8 per cento del totale degli occupati in Italia. Sempre nel 2016, l’ammontare complessivo degli impieghi finanziari e dei depositi ha segnato il picco di 629 miliardi 351 milioni di euro. Il Pil pro-capite medio ha oscillato tra i 32mila 541 euro della Lombardia e i 20mila 543 euro (dato 2015) della Liguria. Il sistema sanitario dell’area è stato il più performante rispetto al resto d’Italia.

Ora, queste tre regioni, che insieme costituiscono il motore economico-produttivo del sistema-Italia, sono governate dal centrodestra. La coalizione, con i suoi programmi di governo di breve-medio-lungo termine, riscuote stabilmente la fiducia della maggioranza della popolazione residente. In quest’area neanche il vento della protesta antisistema incarnata dai Cinque Stelle ha fatto breccia. Stando il perdurare della crisi economica che ha colpito tanto a Sud quanto a Nord, se il centrodestra unito ha dato comunque buona prova di sé in contesti che gerarchicamente sono soltanto un gradino sotto il livello nazionale, perché mai non dovrebbe essere in grado di proporsi alla guida del Paese? Si obietterà: in Parlamento Forza Italia si è differenziata dalla Lega e da Fratelli d’Italia votando con il governo in diverse circostanze. Se si facesse un po’ di sana verifica dei dati si scoprirebbe che, nel corso della legislatura che sta per chiudersi, le volte nelle quali i gruppi di Forza Italia hanno votato insieme alla Lega e a Fratelli d’Italia sono di gran lunga più numerose di quelle in cui si è registrata una differenziazione. Matteo Salvini e Giorgia Meloni possono risultare urticanti per le cose che dicono, tuttavia non è elegante rappresentare un quadro politico sulla scorta di generiche asserzioni apodittiche e non di dati certi e verificati.

Aggiornato il 06 luglio 2017 alle ore 19:13