Giustizia: questione di partito

martedì 4 luglio 2017


Ricevo spesso sollecitazioni ad occuparmi di più di progetti di riforma della giustizia. Non parlo ovviamente di quei poveretti che, magari, pensano ad organizzare cosiddette “marce” per lo Stato di diritto. C’è, fortunatamente, ancora della gente, ci sono degli avvocati, delle persone dotate di conoscenza del diritto, ma anche dei “laici”, che, pur ignorandone principi, norme, prassi, ne hanno magari profondo il senso e che sono giustamente preoccupati del degrado non solo della giustizia, ma della legislazione e della cultura giuridica (anch’essa parte una volta rilevante e tale da esserne orgogliosi della nostra identità nazionale).

Credo che anche certe attenzioni nei miei riguardi, di cui sono grato, siano però allarmanti. Danno la prova che si è costretti a raschiare il fondo del barile nella speranza che un minimo se ne possa trarre di positivo. È ovvio che io non ho più nulla da dare per un’opera di ricostruzione della giustizia. Posso solo continuare a denunciare fenomeni sempre più allarmanti del degrado. Qualcosa che somiglia troppo alla parte di Cassandra che, vergine e un po’ isterica, prevedeva sciagure che si verificavano veramente, ma che finì male, schiava o uccisa nella distruzione di Troia.

C’è però qualcosa che sento il dovere morale di non lasciar morire con me, di riaffermare con quel po’ di forza e di capacità di comunicazione che mi resta e che, se appare come una delle tante denunce della malattia mortale della giustizia è, al contempo, la chiave indispensabile per ogni possibile riforma sensata e significativa della giustizia stessa.

La questione giustizia è oramai la questione di un partito. Questione di partito. Sissignori. Se non si prende atto che c’è un partito-istituzione che considera la giustizia “cosa sua” e la usa sempre più largamente e, magari, inavvertitamente, ne fa scempio, quale strumento del suo potere, qualunque progetto di riforma, qualunque impegno in sé meritorio e produttivo di effetti positivi (penso all’Osservatorio e all’amico Patrizio Rovelli) non potrà avere effetti determinanti e concludenti di fronte alla deformazione della stessa natura dello Stato (la sua “giurisdizionalizzazione”, antitesi dello Stato di diritto) e all’inevitabile abuso ulteriore che, poi, della soppressione (anch’essa inevitabile) delle libere istituzioni per tale via, il partito dell’eversione giudiziaria farà del suo potere.

Dico tutto ciò, e lo dico ora, non sapendo quanto potrò continuare a farlo, perché nel riassetto della mappa delle forze politiche del Paese che sta prendendo lentamente forma, non c’è traccia di una reazione all’ascesa del Partito dei Magistrati e, quel che è peggio, la percezione dell’esistenza (e, quindi, della pericolosità) di tale partito è ignorata o oscuratamente inespressa. Al più c’è qualche moderata critica di qualche esorbitanza particolaristica (gli “alcuni Pm comunisti” di Berlusconi, ad esempio).

Leggevo su un giornale nemmeno molto diffuso che almeno la metà dei sindaci dei Comuni italiani è indagata o processata. Certo, questo è il quadro di una allarmante corruzione (ma anche dell’inconcludenza delle reazioni ai fini della riduzione del fenomeno) ma è pure la conseguenza di una pericolosa applicazione di un principio “giustizialista” per il quale ogni violazione di legge (di una delle aggrovigliate e talvolta stupide leggi relative alle Amministrazioni) è considerata “abuso” ed ogni conseguenza economica del preteso abuso è considerata “finalità di profitto”. Così da ridurre ogni problema a una questione di Codice penale. Questa è una tipica distorsione della giustizia che caratterizza la tendenza a una “giurisdizionalizzazione” della cosa pubblica, matrice di un nuovo autoritarismo.

Non pretendo certo qui e ora di esporre queste mie povere considerazioni. Aggiungo che se, come talvolta avviene, mi si vuole opporre che non tutta la magistratura è il Partito dei Magistrati e che non tutto il sentimento politico che la gran parte dei magistrati hanno di una funzione politica della giustizia che dovrebbero amministrare ha le caratteristiche folkloristiche delle pagliacciate estremiste e intolleranti di certe fazioni locali e non del P.d.M., debbo, purtroppo, ricordare a chi cerca di gettarsi dietro le spalle questo gravissimo problema che anche il fascismo degli anni ’19, ’20, ’25 del secolo scorso non era tutto nelle squadracce di Farinacci e nella violenza e nel suo fanatismo. Ma ne era l’aspetto più significativo, che poi, di fatto, è prevalso e ci ha portato dove ci ha portato.

Senza individuare, combattere e battere questo partito e la sua intrinseca natura eversiva, qualunque riforma della giustizia che la faccia degna di un Paese libero e democratico è impensabile. Ed è impensabile continuare a considerarci un Paese libero. Queste mie parole hanno, forse, il tono fastidioso della predica. Scusatemi. Vorrei sperare anch’io di essere un fastidioso vecchio brontolone. Me lo auguro. Ma non ne sono affatto sicuro. Anzi.


di Mauro Mellini