Di Maio, giammai ti pentirai...

Adesso cominceranno col tiro al piccione. Capita sempre così dopo un risultato disastroso. Anche e soprattutto per e nei pentastellati, dove l’uomo da attaccare non può non essere Luigi Di Maio.

Certo, per la ragione che come responsabile degli enti locali è nel mirino. Ma ce ne sono altre di ragioni in un personaggio che ha la parola facile, fin troppo facile. E un po’ pericolosa, per lui e i suoi amici anelanti al governo del Paese. Se infatti andiamo pazientemente alla ricerca dei suoi speech, delle esternazioni meno affrettate, dei discorsi più ponderati, se vogliamo programmatici, non può non saltare agli occhi (e alla riflessione) uno dei suoi “ragionamenti” (su La7 con Floris e Giannini). Una sorta di decalogo, un vero e proprio programma di governo con una quasi compiaciuta autoinvestitura in vista delle elezioni anticipate. Che però saranno rinviate, probabilmente dagli stessi grillini. Il perché sta probabilmente nel florilegio delle scelte programmatiche che gli sono uscite dalla bocca, più o meno incautamente. Innanzitutto le banche; sapete, quelle dei poteri forti (ora un po’ meno data la situazione critica). “Le banche da salvare - specificò Di Maio - devono diventare banche dello Stato, così a quel punto gli istituti diventano strumenti per erogare prestiti alle famiglie e fidi alle imprese”.

Sempre sulle banche private, continua Di Maio: “Prima di tutto bisogna tirarle fuori dalla Banca d’Italia”. In che modo? Detto, fatto: comprandola, cioè statalizzando questo istituto di diritto pubblico che, peraltro, è già sotto il controllo dello Stato, con una spesa valutata in svariati miliardi di euro. Naturalmente, seguendo il Di Maio-pensiero, sarà necessario non soltanto un referendum sull’Euro ma, a fianco, ben altre riforme da contrattare con l’Europa, ovvero “la riforma del Fiscal compact, quella del Quantitative easing e dei trattati che distruggono l’agricoltura”.

Un certo qual stupore cominciava a ravvisarsi nei due bravi conduttori, oltre che negli spettatori normali come noi, quando venne toccato il tasto più delicato a proposito del pressoché inevitabile aumento dell’Iva, di circa 20 miliardi, previsto per il 2018 dalle clausole di salvaguardia: “Basta recuperare le risorse che si disperdono nel bilancio dello Stato”, ha risposto seccamente il vicepresidente della Camera dei deputati, e Premier (allora) in pectore (adesso un po’ meno). Ma come recuperarle? E lui, sempre più lanciato: “Tagliando con un decreto i Cda delle partecipate che costano 9 miliardi e recuperando 10 miliardi dalla lotta alla corruzione”, anche perché accorpando “le partecipate si possono recuperare quei nove miliardi tagliando i posti nei consigli di amministrazione degli amici degli amici”.

Geniale, vero? Peccato che secondo Carlo Cottarelli, già commissario alla spending review, il costo dei 37mila membri dei Cda delle partecipate, “è stimabile in circa 450 milioni di euro”. Se poi tutti lavorassero gratis, si recupererebbe una cifra 20 volte inferiore a quella messa a bilancio da Luigi Di Maio. I miliardi mancanti sarebbero garantiti dalla lotta alla corruzione (10 miliardi), anche se è ovviamente impossibile, secondo la Ragioneria dello Stato e la Commissione europea, mettere preventivamente in un bilancio statale una simile grandezza contabile. Dulcis in fundo, l’ecologia, l’ambiente e le nuove energie. E il parco auto. Poteva mancare? No che non poteva. Sarà necessaria “la sua conversione in auto elettriche, in una visione di lungo periodo per investire nelle rinnovabili, per investire nel ciclo dei rifiuti, per fare una rivoluzione energetica, ambientale, lavorativa”. E le risorse? Vedi sopra.

Di Maio era detto anche lo statista che tutto il mondo ci invidia. Ora solo lo statalista. Per di più dimentico del famoso detto: “Giammai ti pentirai di aver taciuto, sempre di aver parlato!”.

Aggiornato il 13 giugno 2017 alle ore 21:29